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Iain Duncan Smith, ex leader del Partito conservatore e già ministro durante il governo di David Cameron, è uno dei ribelli che hanno convinto il premier Boris Johnson a rivedere la sua apertura al 5G di Huawei fino a deciderne il divieto dal 2027. Da qualche settimana è co-chair dell’Inter-Parliamentary Alliance on China, una coalizione internazionale di parlamentari il cui obiettivo è “riformare l’approccio dei Paesi democratici alla Cina” (referenti italiani sono i senatori Lucio Malan di Forza Italia e Roberto Rampi del Partito democratico; fanno parte del gruppo anche il dem Enrico Borghi, Andrea Delmastro Delle Vedove di Fratelli d’Italia, Paolo Formentini della Lega e Roberto Giachetti di Italia Viva).

Onorevole, è soddisfatto della decisione del governo britannico su Huawei?

Sono contento della decisione del governo: ora Huawei è riconosciuta come una minaccia non gestibile. La decisione ribalta quella presa a gennaio, e penso che sia la scelta giusta. Tuttavia, mi preoccupano gli aspetti pratici di quella che ora viene indicata come la via da seguire, che non credo funzionerà.

Quali problemi riscontra?

Il primo problema è che consentiranno alle aziende che hanno accumulato apparecchiature Huawei, in particolare BT, di installarle nei prossimi sette anni. Non interromperanno l’acquisto di attrezzature fino alla fine di quest’anno, il che significa che [le aziende] possono continuare ad acquistare da Huawei fino alla fine dell’anno e installarle. Ciò vuol dire che avremo, per almeno sette anni, 5G con apparecchiature Huawei. Penso che sia una questione a cui [il governo dovrà] porre rimedio. Il secondo problema è: come puoi lasciare 3[G] e 4G con apparecchiature Huawei senza aver un piano per rimuoverli in qualsiasi momento? Non penso abbia senso. Infine, ci sono grandi problemi con Huawei relativi ai diritti umani che il governo non sta semplicemente affrontando, oltre al loro ruolo e al coinvolgimento nella repressione degli uiguri e nel ricorso al lavoro forzato. Quindi, temo, queste tre aree dovranno essere affrontate in autunno, quando [i deputati] rientreranno.

Si passerà dal Parlamento quindi?

Sì, [i deputati] devono presentare una proposta di legge per implementare la rete 5G, e penso che un numero sufficiente di colleghi sia preoccupato da queste tre questioni. Sicuramente, in particolare, [sanno] che le apparecchiature 5G saranno prodotte da Huawei e installate nei prossimi sette anni, il che significa che per sette anni avremo un sistema pieno di rischi — e non ne abbiamo bisogno.

È la fine dell’epoca d’oro delle relazioni tra Regno Unito e Cina?

Non penso che ci sia mai stata un’epoca d’oro. Penso in realtà ci fosse una visione naïve nel Regno Unito della Cina: che ci fossero molti soldi da guadagnare e i governi hanno quindi chiuso gli occhi davanti agli abusi delle aziende cinesi e del governo cinese. Gli uiguri, il Mar Cinese Meridionale, le minacce a Taiwan e Hong Kong, i problemi che hanno ai loro confini, nonché la manipolazione della loro valuta, lo spionaggio industriale e il copiare equipaggiamento tecnologico — tutto ciò ha infranto ogni singola regola del libero mercato. Il governo britannico, così come altri governi in Occidente, ha chiuso un occhio — e questo è pericoloso. È la fine di un periodo di ingenuità in cui i governi non sono riusciti a rendersi conto che è importante con chi fai affari, e quindi non puoi separare le aziende [cinesi] dal loro governo. Siamo davanti a un governo ideologico e comunista che non sopporta il dissenso, è intollerante e non crede nei diritti umani, nello stato di diritto o nella libertà di espressione.

Stiamo vivendo in una nuova Guerra fredda?

Non penso che sia un periodo da Guerra fredda, è piuttosto un periodo di realismo. Nel mondo libero dobbiamo unirci e dire alla Cina: “Questo non è tollerabile, non puoi più infrangere ogni regola, ogni regolamento. Non puoi farlo e aspettarti di fare affari con il mondo libero”. L’America, ovviamente, guida il mondo libero, ma penso che il Regno Unito abbia un ruolo importante in questo. La nostra linea deve essere questa: se vuoi continuare a comportarti così, allora sappi che questo ha conseguenze economiche.

I Paesi occidentali sono chiamati a scegliere da che parte stare?

Non è una questione di parte, è solo che sta crescendo la coscienza della minaccia che la Cina rappresenta. Il presidente Xi Jinping ha spiegato di voler rendere la Cina la più grande economia del mondo e, soprattutto, il più potente esercito del mondo entro il 2040. Il mondo libero ci è già passato, negli anni Trenta, credo; e non dobbiamo permettere che ciò accada di nuovo. Abbiamo ignorato tutte le cose che stanno accadendo per non interrompere gli affari. Gli affari hanno un ruolo, ma non guidano i governi. I governi devono guardare alla natura del governo con cui hanno a che fare. Questo governo cinese è una minaccia reale e crescente, e dobbiamo affrontarlo sulla base del fatto che non vogliamo diventare prigionieri della loro tecnologia e dei loro prodotti.

Che ne pensa dell’idea di un D10 (un club di democrazie che unisce i Paesi del G7 con Australia, India e Corea del Sud) per contrastare l’influenza cinese?

Abbiamo dato vita all’Inter-Parliamentary Alliance on China. Ora abbiamo parlamentari da 18 paesi, da destra e da sinistra. Per esempio, per il Regno Unito io e la baronessa Helena Kennedy del Partito laburista, negli Stati Uniti i senatori Marco Rubio e Bob Menendez — e sta crescendo. Confidiamo che l’India si aggiunga molto presto. La cosa fondamentale è che siamo noi, come parlamentari, a dire ai nostri governi che ora è il momento di unirci per mostrare un volto comune alla Cina e dire: “Se continui così, allora la nostra economia semplicemente non può andare d’accordo con te”.

E il China Research Group?

Il China Research Group non è rilevante in quanto formato soltanto da conservatori. La chiave di ciò è l’IPAC, che è trasversale e internazionale — questa è la direzione da seguire. Ho già sostenuto la necessità di un’indagine strategica completa di tutte le nostre dipendenze dalla Cina, per essere certo di comprendere le aree in cui siamo dipendenti e dove rappresentano una minaccia per noi alla luce di come gestiamo il nostro Paese, così come quelli [aree] in cui dobbiamo sganciarci. Credo che ogni Paese nel mondo libero debba ora condurre un’indagine strategica della sua dipendenza dalla Cina.

E se a novembre vincesse Joe Biden? La Cina rimarrà un tema centrale della politica estera?

Non credo che ci sarà alcun cambiamento in questo campo. Basti notare che repubblicani e democratici ora parlano la stessa lingua sulla Cina.

Ecco come contenere la sindrome cinese. Parla il deputato tory Duncan Smith

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