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Alla quasi fine di questo mese di maggio, il 22 prossimo venturo, la Cina organizzerà la sua maggiore assemblea politica istituzionale, il Congresso Nazionale del Popolo. Che si terrà, dicevamo, il 22 di questo mese, dopo essere stato rimandato dalla sua data istituzionale, il 5 di Marzo.

Due i significati evidenti di questa scelta politica, che discende direttamente dal Presidente Xi Jinping.

Il primo e più evidente è quello del ritorno alla piena normalità, dopo lo spegnimento, ormai ufficializzato, del focolaio di Wuhan nello Hubei e degli altri minori e, inoltre, la data dà il segno di una ritrovata funzionalità politica e organizzativa, oltre che economica, nelle more di un confronto tra Cina e Stati Uniti che si prevede, da entrambi i lati, diventare sempre meno facile da risolversi, ma anche fortemente determinante per i nuovi equilibri geoeconomici mondiali.

Vi saranno circa 5000 delegati, provenienti da tutte le aree del Paese e dalle 56 minoranze costituzionalmente riconosciute, che in dieci giorni circa definiranno istituzionalmente il budget annuale, gli obiettivi economici del Paese, annuali e poliennali, alcuni importanti disegni di legge. È una assemblea che stabilisce la “strategia globale” della Cina, ma in modo concreto e semplice.

Certo, permane ancora il blocco alla entrata dei cinesi provenienti da altri Paesi, ma i lavoratori sono rientrati nelle fabbriche e quasi tutte le scuole e le università sono state riaperte, oltre ovviamente ai negozi, ma ci sono segnali di possibili ritorni infettivi del Covid 19, che comunque il governo cinese non ha finora affatto trascurato.

Al centro della attenzione ci sarà, naturalmente, la relazione del governo centrale, che in questo caso agisce certo per avere il necessario consenso e il sostegno di tutte le aree del Paese, in modo da evitare sia il pericolo del frazionismo, centrale nella teoria e nella prassi del Pcc, e soprattutto per dare una sintesi economica e organizzativa per tutto il lavoro che le aree periferiche dovranno condurre da sole. Un meccanismo tipico, questo, della tradizione della Terza Internazionale.

Mi disse una volta Deng Xiaoping, che, peraltro, proveniva da una delle minoranze riconosciute. Sai, mi disse, tra di noi, noi non vogliamo il comunismo come lo hanno realizzato altrove, ma vogliamo solamente il socialismo, ma che sia comunque con caratteristiche cinesi.

Senza questa nota, ancora oggi, si capisce poco del sistema politico cinese e dei suoi obiettivi a medio e lungo termine. Sul piano economico, appunto, nel primo trimestre del 2020 la Cina ha avuto un calo dl Pil del 6,8% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

La maggiore contrazione economica dal 1976, nel momento in cui Mao Zedong mori e il Pil si contrasse, solo in quel periodo, per poi ritornare a crescere sempre, di 1,6%. Un ultimo segnale importante, che Xi Jinping ha mandato a far comprendere agli analisti occidentali, è stato rilasciato il 18 maggio ultimo scorso, alla Assemblea della Organizzazione Mondiale della Sanità.

Il primo segnale, ovviamente, segue da quella vasta diplomazia del sostegno e della disponibilità, economica e sanitaria, che ha caratterizzato la Cina immediatamente dopo lo scoppio della pandemia-epidemia di Wuhan.

Ovvero, Xi Jinping vuole eliminare totalmente e alla radice l’idea che il virus del Covid-19 sia unicamente “made in China”, una idea che caratterizza la grande “Fake news” che ha messo in allarme gli Stati Uniti e che ha raccolto, finora, ben 116 adesioni alla richiesta, fatta da poco dalla Ue, di una ricerca indipendente sulle origini del virus e sulle modalità nuove di diffusione tra gli uomini che esso ha mostrato.

Questo è il primo obiettivo, informativo e economico insieme: evitare in primissima battuta la diffamazione mondiale della Cina, della sua economia della sua affidabilità, per poi evitare anche di dover pagare somme ingenti per le riparazioni dal danno del Covid-19, qualora alcuni Paesi, proprio come gli Usa, volessero ricorrere a questo strumento legale-amministrativo e assicurativo per raggiungere il loro vero obiettivo: la eliminazione della Cina, per un tempo sufficientemente lungo, dal suo ruolo attuale di competitor globale. Economico, politico e militare.

Da qui, come ha detto chiaramente Xi, all’assemblea dell’Oms, la Cina non si sente, non è responsabile per ogni vita persa nel mondo a causa della pandemia da Covid-19.

Peraltro, ha aggiunto ancora Xi, la Cina ha reagito con la massima rapidità possibile, come peraltro hanno dimostrato “a contrario” le lentezze di altri Paesi occidentali, nella esatta percezione della minaccia rappresentata dalla pandemia, e inoltre, dice sempre il Presidente, è stata proprio la Cina a diffondere per prima la sequenziazione dell’intero genoma del virus, tramite le procedure consuete, ovvero la trasmissione ufficiale dei dati all’Oms.

Quindi, il discorso di Xi al Oms-Who vuole riaffermare la centralità della Cina, cosa che accadrà certamente anche all’Assemblea del Popolo prossima ventura, ma ancora con un altro obiettivo secondario: rimarcare l’isolamento degli Usa e il loro *frazionismo*, proprio nel momento in cui la Cina si riprende, dopo la pandemia, il suo ruolo primario in questi anni, quello del Paese leader della nuova globalizzazione, mentre proprio la politica “America First” di Donald Trump isola gli Usa dall’Ue, dalla stessa Cina, ripropone poi una tensione da vecchia “guerra fredda” con la Federazione Russa, infine ricostruisce steccati e polemiche sia in Medio Oriente e in America Latina. Autoisolamento o forse percezione antiquata e “out of time” del ruolo globale degli Usa, che è ancora inevitabile ma va ripensato senza fastose e inutili, oggi, memorie.

Ecco, questo è l’altro obiettivo, comunicativo ma anche economico e politico, di questa e delle future azioni della Cina, in questa fase in cui il Covid-19 appare ancora in ritirata. Sempre era Deng Xiaoping, che me lo diceva chiaramente.

Noi vogliamo il socialismo, non il comunismo, il comunismo è infatti, per Deng, roba da occidentali, e qui infatti i comunisti cinesi avevano letto bene Marx, che non voleva il passaggio al socialismo e alla fine strutturale del capitalismo nelle periferie del Mondo, ma casomai nel suo centro evoluto, la Germania e la Gran Bretagna. Togliatti e Gramsci, prima di lui, nei documenti del PCC, avevano “compiuto errori”. E non certo per servilismo nei confronti del’Urss, che pure era un referente ineliminabile, allora, del Pci italiano.

Mai, quindi, pensare che al Pcc abbiano smesso di studiare, ma con intelligenza creativa, i testi di Marx. Anzi, il marxismo è spesso citato, oggi, in Cina, come la teoria del passaggio, dentro il capitalismo, dalla produzione di merci e servizi  alla finanziarizzazione di massa, una finanziarizzazione che il governo cinese oggi utilizza soprattutto per proporre, con estrema attenzione,  la sua entrata nel mercato-mondo.

E Deng, che era sempre un caro amico personale, è oggi uno dei due veri referenti storici del Presidente Xi Jinping, l’altro è Mao.

Unificazione della Cina, quindi, insieme alla necessaria, ancora, Grande Modernizzazione, oltre anche quelle stabilite da Deng all’inizio del post-maoismo, che non è mai stato un comunismo vero e proprio, perché non si è mai posto come obiettivo la trasformazione del rimanente e globale mondo capitalista, ma la sua penetrazione, con obiettivi e stili cinesi e, soprattutto, nazionali.

Peraltro, proprio per eliminare ancora questo marchio di virus Made in China, e di aver fatto hackeraggio, è una accusa che parte dalla Ue, contro azioni avverse verso siti di centri di ricerca occidentali, ma Xi Jinping ha affermato chiaramente che le terapie dovrebbero, quando scoperte e testate, divenire “beni pubblici globali”.

Alto segnale forte della Cina all’Occidente è chiaro: non crediate di fare il solito grande affare, con il vaccino anti-Covid19 che verrà, perché noi, quando comunque lo avremo, e probabilmente ci arriveremo prima di voi, lo distribuiremo come libero brevetto e non chiederemo costi aggiuntivi o diritti.

Facile, qui, immaginare quale potrebbe essere il colpo propagandistico e geopolitico della Cina in questo caso, che si troverebbe a distribuire vaccini antivirali moderni e soprattutto gratis a tutte quelle aree, in America Latina, in Asia, nella stessa Europa, che sono state radicalmente e ulteriormente impoverite dalla pandemia.

Gli occidentali cosa potrebbero dire, in questo caso? In nostro vaccino costa poco ma è migliore? Facile immaginare gli effetti di questa propaganda controfattuale. Facile anche, qui, immaginare il potenziale di influenza geopolitica di una operazione del genere.

Altro pezzo dell’arma politica e economica e della propaganda cinese è, e sarà all’Assemblea del Popolo prossima ventura, la riaffermazione del contributo, politico, scientifico e finanziario, della Cina alla Organizzazione Mondiale della Sanità, proprio mentre gli Usa hanno dichiarato che i loro contributi all’Oms sono stati congelati.

Dove c’è un “buco”, i cinesi ci entrano. Gli occidentali se ne sono andati via da soli, ma hanno perso sia un possibile alleato che una grossa fonte di informazioni. Pessima scelta. Gli avversari si penetrano, non si maledicono con un rituale che riguarda molto da vicino quello delle sette protestanti o delle new religions statunitensi, come Scientology. Il settarismo settecentesco non è una buona linea di diffusione di un messaggio politico, basti pensare alle sette neoevangeliche che hanno fatto la fortuna elettorale di Bolsonaro, in Brasile.

Applicazione simultanea, quindi, per i cinesi, delle regole di Sun Tzu e dei 36 Stratagemmi. Xi, infine, non ha comunque rigettato l’idea di una “grossa analisi mondiale” sul Covid-19, ma che riguardi, per il presidente cinese, le risposte globali alla pandemia, non e non solo le vaghe teorie sulla sua origine territoriale.

Ecco, queste sono le direttrici che, con la massima probabilità, vedremo in azione anche  all’Assemblea del Popolo prossima ventura. Ma ci sono altri due segnali politici essenziali, dalla Cina, che non dobbiamo dimenticare: uno è il centro della futura espansione cinese, che rimane l’Africa, altro Grande vuoto degli Occidentali che Pechino sta trasformando in “pieno” strategico e economico, e poi la nuova attenzione cinese e di Xi in particolare, al Grande Sud del Mondo. Una eredità del Pensiero di Mao.

Nella linea, già stabilita per il Congresso del Popolo che doveva tenersi il 5 marzo scorso, ci sono degli aspetti piuttosto nuovi: in primis, la nuova linea-limite per l’abolizione in tutto il Paese della povertà assoluta, che è è stata posposta alla riunione che si terrà proprio il prossimo mercoledì, mentre rimane fisso al 2035 il limite per far diventare la Cina una nazione leader nell’innovazione tecnologica, e infine, con il limite  nel 2050, il progetto di trasformare la Cina in un paese leader a livello mondiale.

Ovvero, far diventare la Quarta Modernizzazione di Deng, quella militare, l’asse della vera trasformazione tecnologica, anche civile e organizzativa, della nazione cinese.

La stessa pandemia da Covid-19 ha infatti accelerato, in tutta la Cina, dei processi che erano già stati a suo tempo definiti dal Governo Centrale: in primo luogo l’accelerazione della digitalizzazione, che è stata ovviamente favorita dal “lockdown” che Pechino ha adottato, come peraltro è accaduto in tutti, ma non proprio tutti, i Paesi europei e negli Usa, dove la chiusura delle aziende e della distribuzione ha obbligato i consumatori a ricorrere, inevitabilmente, allo e-commerce.

Certo, c’è stato, anche in Cina, un ritorno, come altrove nel mondo, a una maggiore attenzione a quello che si chiama ancora, ma chissà per quanto, “interesse nazionale”.

Non però  questo è accaduto nei Paesi, in via di fallimento, della Ue, come proprio l’Italia, nella quale ogni carità pelosa degli altri membri della unione, che altro non aspettano, evidentemente, che di mangiarsi quello che resta delle PMI italiane e del colossale risparmio privato degli italiani, per salvare le loro banche.

Qui, una carità ambigua come il Mes o il futuro, ugualmente ambiguo, lento, fumoso e scarsamente chiaro “Recovery Fund”, che i giornalisti italiani continuano ancora a pronunciare come se fosse “found”, letteralmente “trovato”, un lapsus linguae del tutto freudiano, sono aspettati da questa incompetente classe politica come elargizioni generose e graziose concessioni di vecchi amici.

Altro elemento strutturale dell’economia cinese attivato dalla pandemia è stato un maggiore livello di concorrenza tecnologica e finanziaria tra le nazioni colpite, e anche tra le stesse aziende cinesi nel loro mercato interno, che è ovviamente cresciuto di importanza e che ha, in gran parte, fatto opera di sostituzione per le esportazioni, ridotte, e anche con le importazioni, bloccate di fatto dal combinato disposto della pandemia e della guerra commerciale tra Cina e Usa.

Un socialismo che ritorna a fare “economia di sostituzione”, come accadeva negli anni ’50. Altro elemento economico che la pandemia ha riattivato o accelerato, in Cina come altrove, è il maggior ruolo del settore privato e del Terzo Settore.

E, questo, sarà al centro della prossima Assemblea del Popolo, certamente, che vede fortemente rappresentate le autonomie locali, etniche, anche politiche ma, soprattutto, rappresenta in modo politicamente significativo anche alcune élites tecnico-scientifiche, del tutto integrate nel Pcc, che però hanno una forte influenza sia sul Partito che sulla “cerchia interna” del Presidente Xi.

Che tutto vuole, Xi,  meno che far perdere, a causa della ormai, speriamo, cessata pandemia, il ruolo dominante nel mondo della Cina, anzi vuole ridisegnarlo in un momento in cui, per errori passati e presenti, il sistema produttivo, sociale, sanitario degli Usa e di parte della Ue mostra forti punti di cedimento, che si riversano immediatamente su quelle che, anticamente, si chiamavano le “forze produttive”.

Gli Usa, lo ha detto Trump, hanno chiesto, con la inevitabile durezza del caso, un “decoupling”, una separazione progressiva, ma comunque rapida e certa,  delle imprese statunitensi dalla Cina, ma anche Xi, per le caratteristiche stesse della attuale economia cinese, sa benissimo che, qualunque cosa accada oggi e nell’immediato futuro all’economia di Pechino, le Cgv, le Catene Globali del Valore, sulle quali la Cina non può non fare ancora pieno affidamento, sono tutte semidistrutte.

Le imprese cinesi sono state tra le maggiori aziende mondiali a fare, pochi mesi fa, la richiesta di certificati di “force majeure” per rescindere contratti di forniture già in essere, nel mondo.

Certamente, il vero attacco da parte dell’America di Trump all’economia cinese sarà sferrato tramite le nuove Catene Globali del Valore, che, quasi certamente, oggi, accerchieranno la Cina ma non la penetreranno più.

Pechino giocherà la sue carte che, vedrete presto, si giocheranno anche all’interno della prossima assemblea del Popolo, con una rete di probabili aree marginali cinesi interne che faranno una pesantissima concorrenza alla nuova e probabile rete esterna pro-Usa di nuove Cgv, che, si immagina, passeranno dall’India verso il Vietnam, e da Taiwan, eccolo qui  il motivo della sua recente “rinascita” come improbabile avversario geoeconomico di Pechino, su indicazione evidente di Washington, per poi toccare l’India e, naturalmente, il Giappone.

Altro tema che sarà ben sviscerato, sicuramente, dalla prossima assemblea del Popolo, con uno Xi Jinping che sarà capace di innovare fortemente l’economia cinese, anche con un maggiore tasso di liberalizzazioni, è quello di rafforzare lo Stato, per renderlo sempre più efficace come “moltiplicatore di potenza” e come elaboratore di una linea nazionale, ma “con caratteristiche cinesi”, appunto, come mi ripeteva Deng, che unisca militari, finanza, economia produttiva, diplomazia, Servizi, al fine di vincere la vera guerra della Cina attuale, quella contro gli Usa, che però nessuno combatterà mai sul campo e con i vecchi mezzi del potere militare “classico”.

La Cina, il Congresso del popolo e quella confidenza di Deng. Scrive Valori

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