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Quando ieri il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, è arrivato a Tripoli tutto era meno che “una visita a sorpresa”. Accolto con il tappeto rosso e il picchetto militare dalle unità del Gna (il governo onusiano) che hanno sconfitto il signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, grazie al sostegno della Turchia, Akar, oltre al capo di stato maggiore, portava con sé un piano. Stringere con il capo del Consiglio presidenziale, Fayez al Sarraj, un accordo che ampliasse quello che lo stesso premier libico aveva stretto con il presidente Recep Tayyp Erdogan a novembre dello scorso anno. La nota di Tripoli parla di “cooperazione militare e di sicurezza”; dal campo si segnalano già spostamenti di mezzi nella base di al Watyah – grande istallazione prossima alla capitale, verso il confine tunisino. Liberata una mesata fa dall’occupazione haftariana, potrebbe diventare un avamposto turco non tanto in Libia ma sul Mediterraneo.

Nelle passate settimane si era parlato della possibilità che alcuni assetti aerei (in particolare F-16) potessero essere spostati nell’impianto, ma è più probabile che per il momento Ankara si limiti a rafforzare la copertura anti-aerea. Anche perché un dispiegamento più ampio potrebbe esporre eccessivamente la Turchia a polemiche. Akar ieri ha chiesto alla Francia di “chiedere scusa” per aver alzato i toni contro le attività turche in Libia. Nei giorni passati Parigi – sconfitto sostenitore informale di Haftar – aveva attaccato retoricamente le interferenze della Turchia nel conflitto e aperto a una crisi dialettica all’interno della Nato. Francesi e turchi sono protagonisti di un confronto serrato a cavallo del Mediterraneo che tocca la Libia come altri dossier (per esempio i rapporti con gli stati del Golfo, dove l’Eliseo è molto vicino agli Emirati Arabi, mentre la Turchia fa parte dell’asse col Qatar che contesta anche ideologicamente i regni del sunniti della regione).

Se sul lato militare le cose procedono più o meno come previsto, con un rafforzamento turco in Tripolitania che fa da contraltare a quello russo in Cirenaica, un altro tema caldo dell’attuale fase di stand-by in Libia è il petrolio. “Ancora non è stato sbloccato del tutto, perché resta il veto degli Emirati Arabi – spiega a Formiche.net Daniele Ruvinetti, esperto delle dinamiche libiche – ma su Abu Dhabi stanno facendo pressioni anche gli americani”. Per rendere operativo il progetto della Noc per la riapertura, mancano diversi tasselli. “Ci sono i russi, che per potrebbero anche accettare il piano della società libica – prosegue Ruvinetti – ma un altro problema riguarda la ripartizione dei proventi. Per quanto so, a Tripoli (e ad Ankara) vogliono evitare di finanziare Haftar, e anche per questo Agila Saleh è in Russia. Si cerca di trovare uno spazio per il dopo-Haftar”.

Ieri Mosca ha riaffermato la bontà del piano di stabilizzazione proposto tre settimane fa da Saleh, e ha annunciato la riapertura dell’ambasciatore (che sarà operativa da Tunisi). L’attuale fermo dei combattimenti e lo stand by conseguente è parte della fase di stabilizzazione in corso. Si cerca un punto di equilibrio che intanto potrebbe iniziare dal petrolio, bene da cui dipende la prosperità di tutti i libici, a Est come a Ovest. È in atto una discussione all’interno del Gna per avviare un rimpasto, parte di questa fase: “Potrebbe essere un’idea – anticipa Ruvinetti – l’inclusione di figure della Cirenaica, gradita anche in Tripolitania. È innegabile che questa sarebbe una buona formula per allargare la base di consensi del governo libico, che resta sempre fermo su un punto: la Libia deve restare unita, niente spartizioni”.

(Foto: fonti libiche, il ministro turco Akar a Tripoli)

Libia, tra stand by militare e colloqui diplomatici sul petrolio

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