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Atto secondo. Alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco che ha aperto i battenti questo venerdì torna protagonista il tiro alla fune fra Stati Uniti e Cina sulla più delicata delle questioni di politica estera: il 5G. Ancora una volta nel mirino c’è il colosso della telefonia mobile cinese Huawei. Dopo l’arringa di Nancy Pelosi e i duri moniti degli alti funzionari del governo americano presenti alla kermesse nella capitale bavarese, arriva il carico da ’90. Huawei, ha detto il segretario di Stato Mike Pompeo, è un “cavallo di Troia per l’intelligence cinese”. “Se non comprendiamo la minaccia e non facciamo qualcosa al riguardo – ha rincarato alla conferenza il segretario della Difesa americano Mark Esper, Huawei “potrebbe compromettere quella che è l’alleanza militare di maggior successo della storia, la Nato”.

Il vertice di Monaco si conferma teatro privilegiato della battaglia per la sovranità digitale che divide Washington e Pechino. Per l’intelligence Usa Huawei è un vettore di influenza del Partito comunista cinese (Pcc), cui è disposto a fornire informazioni e dati sensibili sottratti alla rete 5G, di cui è uno dei fornitori leader al mondo.

La guerra contro l’azienda cinese ha scalato negli ultimi mesi l’agenda della politica estera americana. Per il governo cinese si tratta di una causa dettata da ragioni commerciali: Huawei, grazie anche alla convenienza di prezzo dei suoi prodotti, ha una presenza sul mercato del 5G senza eguali e negli States non ha concorrenza. Solo le europee Nokia ed Ericsson reggono il passo, e infatti su queste l’amministrazione Trump ha deciso di puntare per fermare l’avanzata di Huawei e convincere gli alleati europei a fare lo stesso.

In ballo c’è molto più del mercato per il digitale, spiega da tempo l’intelligence e la politica americana (su questo, come ha dimostrato la Pelosi a Monaco, compatta in un fronte bipartisan): appaltare la rete di ultima generazione a un’azienda ritenuta alle dipendenze del governo comunista cinese significa consegnare le chiavi di casa del sistema informativo di un Paese, con tutte le implicazioni di intelligence e militari che questo comporta.

Esper lo ha detto senza mezzi termini alla conferenza. “Fare affidamento sui fornitori cinesi di 5G potrebbe rendere i sistemi critici dei nostri partner vulnerabili alle interruzioni, alle manipolazioni e allo spionaggio”. Di più: “Potrebbe anche mettere a repentaglio le nostre capacità di comunicazione e di condivisione dell’intelligence e, per estensione, le nostre alleanze”.

Né vale, ha spiegato il capo del Pentagono, la giustificazione di un bando parziale delle aziende cinesi dalla rete 5G, escludendole solo dalla parte “core” e aprendo loro le porte alle componenti non-core (antenne radio, fibra), come ha fatto di recente il Regno Unito di Boris Johnson scatenando l’ira della Casa Bianca, perché il flusso di dati sulla rete 5G è continuo e non esistono interventi in grado di isolare del tutto una parte della banda. “Lo sviluppo in sicurezza di una nostra rete 5G supererà di gran lunga qualsiasi guadagno percepito da una collaborazione con fornitori cinesi fortemente sovvenzionati che rispondono alla leadership di un partito”.

Dopo l’affondo, il rilancio. A Monaco Esper propone quel che da tempo è allo studio della Casa Bianca e delle agenzie di intelligence oltreoceano. Un mercato alternativo del 5G, costruito su aziende ritenute affidabili sotto il profilo della sicurezza. Ericsson e Nokia, dunque, ma non solo. Secondo indiscrezioni del Wall Street Journal, Pennsylvania Avenua avrebbe chiamato in raccolta anche la Silicon Valley, per studiare una soluzione made in Usa. Microsoft, Dell, AT&T sarebbero state già sondate. L’alternativa, lanciata di recente dal procuratore generale americano William Barr, è la creazione di una cordata di aziende americane e occidentali per acquisire delle quote di Ericsson e Nokia, che però, finora, hanno mostrato una certa reticenza all’idea.

Il messaggio di fondo che emerge da Monaco è una sensazione di urgenza rispetto a una questione, la sicurezza del 5G, che può mettere a rischio l’interoperabilità dei sistemi di comunicazione della Nato e dunque ridisegnare la geografia di alleanze strategiche del Vecchio Continente. Le difficoltà non mancano, e infatti lo stesso Esper ha dovuto ammettere, di fronte alla contrarietà al bando di Huawei di Francia e Regno Unito e alle titubanze di Germania, Italia e altri Stati europei, che la mobilitazione americana ha avuto “reazioni miste”.

La battaglia per il 5G è divenuta la linea Maginot della politica estera europea, quella che segnerà i confini dell’avanzata cinese e dell’Alleanza atlantica in Europa. Una battaglia, ha detto Pompeo con una frase che farà parlare, che è anche e soprattutto valoriale, fra i desideri da “impero” della Cina e l’Occidente. E al momento l’Occidente, ha chiuso l’ex capo della Cia, “sta vincendo”.

O la Nato o Huawei. Il monito di Pompeo ed Esper sul 5G

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