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Ci sono molte ottime analisi su quello che sta succedendo in Libia. Molte di queste ammettono con sincerità di non poter delineare uno scenario per un futuro a medio-lungo termine. Perché la crisi libica è imprevedibile. La Conferenza internazionale organizzata su impulso tedesco a Berlino si è chiusa con un documento per continuare il cessate il fuoco su cui molti degli attori esterni al dossier erano già d’accordo “da almeno un mese”, secondo una fonte diplomatica europea, “ma questo non li ha limitati nel giocare lo stesso i propri interessi sulla guerra”.

Quello che ieri è saltato più all’occhio è stata la totale assenza di libici ai tavoli delle discussioni e alle foto di rito dove i grandi della terra — ne mancavano davvero pochi — si posizionavano cercando spazi nella prime file o vicino a chi pensavano fosse il più funzionale per i propri interessi. La conferenza è stata, in effetti, un grande successo diplomatico. E in quanto tale, anche un’ottima photo opportunity. Ma i rappresentanti dei due blocchi in guerra in Libia non si sono nemmeno parlati. Eppure Fayez Serraj, il leader del governo onusiano di Tripoli, il Gna, e Khalifa Haftar, il signore della guerra che dalla Cirenaica vorrebbe conquistare la capitale, erano entrambi nella capitale tedesca. Ma hanno tenuto incontri separati. Caustico il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov: “Ancora [non c’è] nessun dialogo serio” tra i due fronti.

“Non c’è stata nemmeno mezza parola in arabo, eppure sarebbero i libici a dover dire la loro, o quantomeno a essere i beneficiari del processo diplomatico. E invece ci sentiamo estranei. Quel che è peggio è che sembra che lo straordinario incontro diplomatico di ieri sia in realtà l’inizio di una spartizione della Libia. Ma i libici sono d’accordo?”. È il commento di un cittadino di Tripoli via Messenger.  Un bilancio che rispecchia un sentimento diffuso fra tanti libici, soprattutto in Tripolitania. 

“Ieri mattina il cielo di Tripoli era sereno, poche nuvole, e noi ogni tanto alziamo la testa per capire se arrivano i droni”, prosegue la fonte dalla capitale libica. Sono i velivoli dell’aviazione haftariana (o meglio: UAV Wing Loong cinesi che gli Emirati Arabi hanno messo a disposizione di Haftar, con tanto di comparto tecnico). Si tratta dei droni che bersagliano la periferia meridionale e orientale della capitale, e l’aeroporto di Misurata.

I droni hanno finora inflitto gravi danni. Hanno bombardato (probabilmente per errore) un centro migranti quest’estate. Fu un massacro compiuto da Haftar, che però ha ricevuto ben poche condanne pubbliche (tra gli unici, l’allora vicepremier italiano Matteo Salvini, che chiese che l’uomo forte dell’Est ne pagasse le responsabilità). Poche settimane fa hanno centrato il piazzale dell’Accademia di Tripoli durante un’adunata: morti oltre venti cadetti inermi. Ci sono state indagini Onu sulle vittime civili, sono stati raccolti reperti con prove inconfutabili (missili Blue Arrow cinesi che possono essere montati soltanto su quel tipo di velivolo).

Nei corridoi diplomatici libici, così come a Tripoli e Misurata (centro della protezione politica e militare della capitale) c’è poca fiducia sul fatto che Haftar fermerà i combattimenti. Il cittadino tripolino invia una foto di una colonna di fumo nera, dice che è stata scattata domenica mattina: “Mentre  a Berlino si parlava di Libia, a Tripoli ancora si combatteva. Sono colpi di artiglieria sparati tra i palazzi del sud tripolino dalle milizie di Haftar. Non vuole fermarsi”.

Domenica sono stati lanciati proiettili di mortaio con cui la milizia della Cirenaica, l’Lna, ha colpito una postazione rivale. Non è la prima volta che succede da quando Russia e Turchia hanno siglato una tregua il 12 gennaio. Anche in questo caso, si parla di attori esterni. Dall’ambiente politico di Misurata dicono che “i turchi non si fermeranno”. Ankara ha promesso truppe e supporto armato al Gna, quest’ultimo concretizzato soprattutto con l’installazione di sistemi di difesa area (utili contro i droni emiratini). Ieri il presidente Recep Tayyp Erdogan ha lasciato Berlino senza partecipare alla conferenza stampa conclusiva, per via di un “forte scontro con la delegazione di Egitto ed Emirati Arabi”.

A Formiche.net Karim Mezran dell’Atlantic Council, tra i massimi esperti di Libia, ha spiegato che Haftar non ha intenzione di fermarsi. Per questo sta chiudendo i pozzi del petrolio: è un modo per dimostrare di poter essere incisivo in un momento che diplomaticamente sente favorevole. E un avviso: le ostilità non si fermeranno.

Il conflitto sul campo è polarizzato e sempre più ideologico. Ogni tanto si spara, quando possibile si avanza di poco. Il resto lo fanno i droni comandati da remoto. Tutto potrebbe andare ancora avanti per lungo tempo, nonostante gli sforzi della Comunità internazionale.

Tripoli chiama Berlino. Sul campo droni e fucili fanno (ancora) la differenza

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