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L’emergenza sanitaria per il Coronavirus è passata in secondo piano in Venezuela. Il Paese è in ginocchio per la mancanza di combustibile. Dall’Iran sono arrivati alcune navi cariche di benzina e dagli Stati Uniti è partito l’annuncio di nuove sanzioni contro le compagnie che continuano lo scambio commerciale ed economico con il regime di Nicolás Maduro.

Tuttavia, c’è chi non fa marcia indietro, almeno per ora. In primis l’impresa spagnola Repsol, che opera sul territorio venezuelano dal 1993 e collabora ancora con il governo di Maduro, ricevendo migliaia di barili di petrolio al giorno.

Per questo il direttore per l’America latina della National Security Council, Mauricio Claver-Carona, ha dichiarato che tutte le imprese che continueranno a mantenere rapporti con la dittatura venezuelana sconteranno “sanzioni devastanti”. Claver-Carona ha indicato la spagnola Repsol, l’italiana Eni e l’indiana Reliance Industries. Queste imprese, a differenza della russa Rosneft e l’americana Chevron, non hanno annunciato o programmato futuri tagli agli scambi con il Venezuela.

Il Venezuela ha le più grandi riserve di petrolio nel mondo. Anni fa produceva 3 milioni di barili al giorno ed era il terzo esportatore di greggio negli Usa. Oggi, invece, l’industria petrolifera è crollata. L’ingegnere geochimico Luis Martínez ha detto al sito El Cierre Digital che il Venezuela non supera al giorno i 700 mila barili di petrolio pesante, il quale ha bisogno di molta raffinazione: “Il governo ha eliminato gli investimenti, ha espulso personale qualificato e ha trasformato l’impresa Pdvsa in un ente de Partito Socialista. Il risultato? È il Paese con più petrolio e meno benzina”.

Per il sociologo e analista, Ociel Alí López, “la crisi interna di Pdvsa, le sanzioni degli Usa, il crollo del prezzo del petrolio, la pressione su imprese alleate come Rosneft e Repsol, tutto sembra colpire la compagnia petrolifera venezuelana, che era stata la gallina dalle uova d’oro e oggi dipende dall’importazione di benzina. Ma potrebbe tornare a produrre o in poche settimane avrà bisogno di un altro aiuto in termini di combustibile? Sarà lì la chiave di tutto”.

In questo momento l’Iran e Repsol sono i più grandi alleati di Maduro sul petrolio. Nondimeno, i conti dell’impresa spagnola sono calati: da 456 milioni di euro nel 2019 a 239 milioni ad aprile di quest’anno. La Casa Bianca prevede che si tratta di un’uscita progressiva di Repsol dal Venezuela, ma la compagnia ha detto che è invece “la chiusura di stati finanziarie di debito commerciale e l’aggiornamento del rischio di credito per le perdite di Pdvsa”.

Da quanto si legge sul sito di Repsol, l’impresa ha in Venezuela il 50% del Progetto Perla a Cardón IV, uno dei più grandi giacimenti di gas naturale; e anche il 60% di Quiriquire Gasen per la produzione di petrolio nella regione Monagas; l’11% di Petrocarabobo, un complesso di campi petroliferi e il 15% di Ypergas, un progetto nell’Amazzonia venezuelana. E i progetti futuri continuano… Repsol non solo produce petrolio, ma contribuisce anche nella raffinazione del greggio, che riporta al Venezuela in forma di benzina.

Antonio de la Cruz, direttore esecutivo di Interamericana Trends, ha detto all’Abc che Repsol sta schivando “pericolosamente” le sanzioni internazionali che riguardano il Venezuela. L’impresa avrebbe prodotto e portato in 32.624 barili di petrolio a gennaio, 43.275 a febbraio e 33.577 ad aprile. Le conseguenze, dunque, molto sicuramente arriveranno…

Così Repsol tende la mano a Maduro. E gli Usa…

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