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Il Coronavirus ha fatto effetto? La notizia della disponibilità tedesca all’emissione di titoli di debito pubblico europeo, dopo trenta anni, è tra quelle che rappresentano una svolta e segnare un’epoca, almeno per l’Europa. Ma è presto per dirlo. Va comunque accolta con grande soddisfazione e speranza. La Merkel solo fino a due mesi fa, in piena pandemia, insisteva nel dire che “… mai, finché ci sarò io, saranno emanati dei titoli europei ”. Una posizione conosciuta da tempo. Un assunto difficile da conciliare con l’idea di una moneta comune, in contrasto con qualunque principio di politica economica, fiscale e monetaria. Forse la recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca, le difficoltà a prevedere le conseguenze della crisi ed i rischi per gli interessi tedeschi, hanno spinto la cancelliera a varcare il Rubicone e annunciare il grande passo insieme al Presidente francese. La Francia, forte del sostegno di altri paesi dell’Eurozona, tra cui Italia e Spagna, è stata determinante per spingere la Germania a fare una scelta fondamentale, utile per attivare il Fondo per la Ripresa. Conosciamo la contrarietà degli amici tedeschi a finanziare la crescita attraverso il debito. La loro è una convinzione che sconfina con l’ideologia, anche per motivi storici. Quindi la massima comprensione per il tabù che forse hanno rotto. Li ringraziamo per questo. Ne avevamo bisogno.

Li aspettavamo dal 1991, dalla Conferenza Intergovernativa di Maastricht, che istituì l’Unione Economica e Monetaria. In quella occasione si opposero ad inserire nel Trattato tale possibilità, insieme ad altre norme che avrebbero consentito la nascita di un’Eurozona completa, direi “normale”, più equilibrata e solidale. Così come avviene per uno Stato o per una Unione, che hanno una moneta veramente comune. Infatti quella europea ancora non lo è. Oggi il sistema funzione come se avessimo 19 monete, come sono 19 tutte le altre politiche, rimaste separate. Di conseguenza abbiamo una distribuzione sperequata dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dall’appartenenza all’Eurozona. Infatti la parte di questi 500 mld di titoli, promessi ai paesi più danneggiati e più a rischio, non sono un regalo, come alcuni paesi vorrebbero far credere, ma solo il recupero di una infinitesima parte di quei vantaggi andati ai paesi più forti durante questi anni. Perciò è importante il riconoscimento del principio che lega la politica monetaria a quella fiscale. Rappresenta un’inversione di marcia. Oggi, per impedire che l’Eurozona scoppi, abbiamo bisogno di colmare questi vuoti rimasti aperti 30 anni fa. I titoli di debito, al momento simbolici, rappresentano solo un primo passo in questa direzione, dopo l’entrata in circolazione dell’Euro. Una emissione che non può rimanere un episodio estemporaneo. Non si possono aspettare altri 30 anni per decidere. Dovremmo essere più veloci, anzi velocissimi, alla luce di quanto avviene a livello globale.

Ancora due osservazioni, alle quali vi prego di prestare la massima attenzione. La prima. Questi aiuti derivanti dai titoli di debito comune verranno sottoposti a condizioni stringenti, eventualmente controproducenti per il sistema economico e sociale, oppure no? Perciò bisognerà negoziare con grande attenzione. La seconda osservazione, molto più significativa. Tale operazione, ripeto, molto importante, verrà sostenuta dal Qfp, il bilancio dell’Unione, in attesa di quello dell’Eurozona, con l’intento di garantire il debito con imposte comuni. Significa il trasferimento della sovranità fiscale. A chi? A questa Unione così com’è? Ciò significherebbe trasferire la sovranità fiscale dai paesi al Consiglio. Visto che il sistema decisionale dell’Ue è passato dal metodo comunitario, già con i suoi limiti, a quello intergovernativo. Vuol dire che a decidere sarà sempre il paese più forte. Ci possiamo permettere un passaggio del genere anche per la politica fiscale, dopo quella economica e monetaria, senza far entrare in campo la Politica, la Demo-crazia? Ne siamo consapevoli? Non ci posiamo consentire di scoprirlo a cose fatte, come avviene spesso per il nostro paese. Ci potrebbero essere conseguenze ancora più pesanti per la nostra economia e per quella di altri paesi Euro. Ma la cosa ancora più grave è che, in questo caso, verrebbe leso il principio democratico su cui sono basate le democrazie moderne, riguardo al rapporto tra popolo e “Stato sovrano”. Perciò l’Europa, ancora una volta, non può restare a metà del guado, aprendo un vulnus democratico più grave di quanto non sia già avvenuto a Maastricht. Le promesse fatte allora, che tutto sarebbe stato colmato in poco tempo, comunque prima della circolazione dell’Euro, non sono state mantenute. Se non mi confondo con altre monete, l’Euro circola ormai da quasi 20 anni e nulla è stato fatto.

L’allargamento ad est ha chiuso la partita che nemmeno la crisi del 2008 è riuscita a riaprire. Ci riuscirà forse la pandemia? Il problema non può essere messo a tacere. Non si sarebbe nemmeno posto senza l’apertura all’emissione di titoli di debito europeo. Ripeto un’apertura importante. Una svolta. Ma siamo ad un altro capitolo, ancora da aprire e da sfogliare. Non abbiamo molto tempo, anche perché oggi tutto cammina molto velocemente. Anche la vecchia Europa deve adeguare il suo passo. Ed anche la testa, se vuole darsi un futuro.

La rottura di un tabù?

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