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Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha ottenuto la vittoria nelle elezioni per la leadership interna al suo partito, il Likud, che guiderà quindi alle elezioni del 2 marzo 2020. Il più longevo dei leader della storia dello Stato ebraico, in carica dal 2009 (con quattro mandati), ha stracciato il suo concorrente diretto Gideon Sa’ar ricevendo il 72,5 per cento dei consensi dei partecipanti. Stravincere tra gli elettori conservatori del Likud ed essere il loro preferito per ricoprire di nuovo il ruolo di primo ministro però, non gli dà comunque garanzie per il futuro nel Paese.

Da oltre un anno Israele vive un sostanziale stallo politico. Le elezioni di marzo saranno le terze nel giro di dodici mesi, e il quadro si presenta più o meno simile a quello che negli altri due casi (ad aprile e a settembre) ha impedito la formazione di un esecutivo. Non ci sono accordi politici funzionali, le parti che si uniscono non riescono a ottenere la maggioranza dei seggi nella Knesset, e per questo per due volte si è tornati alle urne.

La vittoria di Netanyahu era piuttosto attesa. La piattaforma politica del suo contendente, ex ministro dell’Interno e dell’Istruzione, non era considerata sufficientemente strutturata per smuovere gli animi degli elettori del Likud né tanto meno dei quadri dirigenti del partito. E questo nonostante il premier stia vivendo esperienze negative sia sul piano politico, col peso di non essere riuscito a creare un esecutivo in due occasioni nel 2019, sia su quello personale – finito coinvolto in un caso giudiziario che dal mese scorso lo vede sotto incriminazione per corruzione.

“Re Bibi”, così lo chiamano i fan per la sua presenza politica, ha parlato di una vittoria “enorme” (e non erano mancati disturbi dall’esterno). Ha promesso di portare il partito verso un risultato elettorale che permetta a lui e al Likud di “guidare lo Stato di Israele verso successi senza precedenti”. Sa’ar ha riconosciuto la sconfitta e garantito il suo appoggio, anche nel tentativo di mostrare compattezza e affidabilità politica agli elettori indecisi e smuovere gli astenuti per ottenere la maggioranza.

Dalle opposizioni critiche contro Netanyahu e contro il suo partito per la perpetrazione della scelta e l’assenza di rinnovamento. Le principali sono arrivate da Avigdor Lieberman, leader del partito laico di destra Israel Beitenu, un tempo alleato di Bibi, che ha usato il risultato per sottolineare come sia il Likud sia il suo principale rivale Benny Gantz, leader di Blue e Bianco, dimostrino in ogni passaggio politico che non hanno intenzione di costruire coalizioni, ma di guidare il governo da soli (“con l’appoggio dei partiti ortodossi”). Lieberman, ex ministro degli Esteri e della Difesa sempre sotto i governi Netanyahu, con Israel Beitenu fa per certi versi da ago della bilancia negli equilibri interni ai conservatori, e per due volte ha rifiutato di unirsi a Bibi quest’anno.

 

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