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L’economia italiana negli ultimi anni non è andata poi così male come si crede, anzi, si è mantenuta sostanzialmente in linea con le altre due grandi manifatture europee, quella tedesca e francese. A qualcuno potrà sembrare fantascienza, ma non a Marco Fortis, economista della Cattolica di Milano e vicepresidente della Fondazione Edison.

Fortis, siamo nel 2020. Tempo anche di guardarsi un po’ indietro. Gli ultimi anni sono stati duri per l’Italia, eppure…

Eppure non siamo poi andati così tanto peggio rispetto alla Germania e la Francia. Non tanto negli ultimi dieci anni, quanto negli ultimi, dal 2015 al 2018. Se analiziamo alcuni valori oggettivi e certificati dall’Eurostat e lontano dai luoghi comuni, ne esce una fotografia che non è poi così negativa come si continua a dire. Possiamo senza dubbio dire che i quattro anni compresi tra il 2015 e il 2018 sono stati per noi i migliori da quando c’è l’euro.

Addirittura. Eppure fino all’altro ieri il Paese sembrava ancora impantanato nella crisi più nera.

Dobbiamo ragionare con i numeri, non con la pancia. Se io prendo gli incrementi di valore aggiunto generato dalle economie italiana, tedesca e francese tra il 2015 e il 2018 e tolgo la componente pubblica, ovvero il sostegno dello Stato alla crescita, viene fuori questo: + 5% per l’Italia, +5,6% per la Germania e più 5,4% per la Francia. Sa cosa vuol dire tutto questo? Che la nostra manifattura, al netto del contributo pubblico, si è mantenuta su livelli sostanzialmente in linea con quelli di altri partner Ue, che da sempre vengono considerati come migliori di noi.

Però la Germania nel complesso ha fatto più Pil di noi, sbaglio?

Vero, ma questo per un motivo molto semplice. Berlino, che ha delle finanze pubbliche decisamente più in salute delle nostre, ha potuto effettuare una spesa pubblica che noi ci sogniamo con questo debito pubblico. E questo le ha dato una spinta. Ma, come ho detto, tolta la componente pubblica, inclusa la spesa, siamo alla pari, o quasi. Basti pensare che il settore pubblico in Germania ha contribuito per 0,6% punti di Pil nel 2017. Nello stesso periodo invece il pubblico a noi toglieva punti di Pil.

Insomma, fine del mito tedesco?

No, assolutamente. Berlino ha dimostrato più volte di avere una struttura forte, ma forse stiamo ristabilendo una nuova verità storica. La Germania anche se sta ferma come crescita ha un surplus commerciale di 200 miliardi e questo perché ha un’industria più grande rispetto alla nostra. Lo stesso accade anche per l’Italia, che ha un surplus commerciale. Alla fine, è come se fossimo diventati anche noi una piccola Germania.

Parliamo del 2020. Si parte da una manovra un po’ all’acqua di rose…

Noi partiamo da una situazione in cui abbiamo davvero poco da spendere, perché schiacciati da un debito enorme. E lo Stato oggi sembra poter fare davvero poco per far crescere l’Italia. Purtroppo abbiamo una situazione di conti pubblici che non ci permette di fare molto. Per fortuna abbiamo una commissione Ue che non parla tutti i giorni di Fiscal Compact e dove i falchi sembrano ridimensionati, tuttavia non possiamo fare granché. E quella poca flessibilità che ci è stata concessa è stata usata per reddito di cittadinanza e quota 100. Non ne veniamo fuori così, il massimo che ci possiamo permettere è lo stop alle clausole Iva.

Dunque la Germania cui abbiamo tenuto testa negli ultimi anni ci scavalcherà di nuovo? 

Paradossalmente no. Berlino ha l’industria dell’auto in crisi, è un po’ ferma come noi. L’industria tedesca ha il motore fuso in questo momento.

Fortis lei ha detto che lo Stato non può far molto. Però su Ilva, Alitalia e Autostrade sta facendo manovre non trascurabili…

Lo Stato c’è nell’industria. Il punto è che forse, al netto di queste patate bollenti, dovrebbe fare dell’altro. E cioè, premesso che dovremmo avere un governo solido e non precario, occorrerebbero riforme della Pa, dell’Istruzione. Tutte cose a basso impatto elettorale ma utili al Paese. Se in questo momento non ci rendiamo conto che soldi da spendere ne abbiamo pochi, non possiamo renderci conto dell’importanza di riforme di sistema.

A proposito, che ne pensa della possibile revoca delle concessioni autostradali ai Benetton?

Il governo sta entrando in un grande macello, rischia di spendere delle cifre enormi perché i contratti sono contratti. Bisognerebbe fare un discorso molto serio: siccome ci sono state delle negligenze evidenti allora le negligenze vanno sanzionate, ma non con una revoca bensì con una richiesta di investimenti aggiuntivi al gruppo e con dei risarcimenti da parte dello stesso. Ma cambiare i contratti in essere ci farebbe apparire al mondo come un Paese sudamericano o africano.

Italia non è peggio di Germania e Francia ma su Autostrade... La versione di Fortis

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