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A seguito del nuovo decreto coronavirus e dell’escalation di casi registrati in Italia, risulta complesso comprendere la reale situazione che sta vivendo il nostro Paese e i comportamenti da adottare (e quelli inutili) per prevenire il contagio. Ne abbiamo parlato con Giorgio Palù, virologo dell’Università di Padova e già presidente della Società europea di virologia.

Come stanno davvero le cose?

È difficile capirlo se viene detto tutto e il contrario di tutto da esperti epidemiologi e virologi (e sedicenti tali), sociologi, oltre che dall’uomo della strada e dalle soubrette. Bisognerebbe concentrarsi solo sulle indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità e della Protezione civile e sui dati. Quando si tratta di scienza, sono i dati a fare la differenza.

E cosa ci dicono i dati, oggi?

Ci dicono che il trading di andamento dell’epidemia in Cina è discendente e che dopo alcuni mesi i casi diminuiscono in maniera significativa, purtroppo non come sta avvenendo da noi.

Quindi lo stesso dovrebbe avvenire in Italia?

Certo. La curva di andamento del virus è fondamentale per fare una proiezione di quanto avverrà nel breve termine. Bisogna considerare, però, che la Cina ha adottato delle strategie particolarmente rigide, mettendo in quarantena milioni di persone. Una cosa che una società occidentale libera, come la nostra, non farebbe mai.

Siamo nel pieno di una pandemia?

I numeri dicono che siamo oltre le 100mila persone contagiate e che ormai non c’è un angolo del pianeta che non presenti casi. Ma non è corretto parlare di pandemia, perché l’incidenza nei diversi Paesi non è sufficientemente alta per definirla tale.

E quando può esserlo?

Quando colpisce una grossa fetta della popolazione mondiale (10-30% nel caso delle pandemie dell’influenza). E non è il caso del coronavirus. Anche se, dobbiamo ricordarlo, l’Oms ha di recente innalzato il rischio di diffusione per l’Europa da alto a grave.

E rispetto alla letalità del 3,8%?

Intanto consideriamo che la letalità in Italia è più o meno in linea con quella della Cina mentre, ad esempio, in Corea è molto più bassa. Però c’è anche da dire che i bambini coinvolti sono fra l’1% e il 2% e, soprattutto, sono tutti colpiti in forma lieve.

E gli altri contagiati, invece?

Poco meno dell’80% dei contagiati è poco sintomatico o asintomatico, il 14% sono gravi e dal 6% al 10% sono gravissimi, tanto da essere ricoveratati in terapia intensiva. Però bisogna fare una premessa: questi dati si basano sulle persone ufficialmente contagiate, ma ad oggi non abbiamo ancora contezza, proprio per via degli asintomatici, di quanti siano davvero.

E quando lo sapremo?

Quando si faranno studi epidemiologici sulla produzione di anticorpi da parte delle persone presenti nei focolai principali. Solo allora potremo avere un’idea più realistica del tasso di morbosità e letalità del coronavirus. Otre ad associarla a parametri quali fattori di rischio e liberazione del virus in fase sintomatica e asintomatica.

Quindi, quanto fa paura questo coronavirus?

Fa paura più di un’influenza e meno di altri virus. Ha sintomi molto più gravi di un’influenza, ma al contempo ha una letalità molto inferiore, ad esempio, di Ebola, che si attesta ad oggi al 65%, o dell’Aviaria, che è superiore al 60%. C’è da dire, però, che queste malattie non hanno mai avuto uno sviluppo epidemico come SARS-CoV-2.

Livello di contagiosità?

Molto alto. Due lavori recentissimi, uno cinese e uno statunitense, hanno dimostrato che la proteina di superficie di questo virus (S) ha affinità per il recettore ACE-2 30 volte superiore alla proteina del virus della Sars.

A che punto siamo con cura e vaccino?

Relativamente a buon punto, perché i coronavirus, com’è noto, mutano relativamente poco. Del resto, abbiamo diverse compagnie che stanno producendo i primi preparati vaccinali e alcune terapie, di cui alcune ereditate dalla cura dell’HIV-AIDS e dell’Ebola, sono già state utilizzate con esito favorevole. In Cina, tra l’altro, è stato autorizzato l’uso di un anticorpo monoclonale che inibisce una citochina coinvolta nella patogenesi della polmonite interstiziale.

Le misure adottate in Italia sono corrette?

Sono quelle che raccomanda l’Oms, quindi sì. Rimangono, certo, dei dubbi rispetto ad alcuni paradossi. Le scuole sono chiuse, ma si continua a viaggiare in autobus, treni e aerei, a frequentare uffici con un unico sistema di aerazione… Il Paese però non si può fermare del tutto, per cui va bene così.

E cosa non va bene?

Non va bene quello che stanno facendo gli altri Paesi nei nostri confronti. Gli “amici” francesi o tedeschi o addirittura la stessa Cina ci dileggiano, propongono quarantene ed embarghi. Quando invece l’Italia non ha più casi degli altri, ne ha solo scovati di più perché ha un sistema sanitario efficace.

Ne siamo certi?

Certi no, ma non credo sia un caso che la Germania abbia registrato un boom di casi di influenza anomala. Solo che non facendo i tamponi, non l’ha chiamata coronavirus… Ci hanno definiti untori, quando poi si è scoperto addirittura che il paziente zero veniva dalla Germania. Servirebbe un’armonizzazione dei provvedimenti sanitari a livello europeo, che invece è completamente mancata.

Quanto costa un tampone?

Un tampone, come qualunque test di diagnostica virologica molecolare, costa al Servizio sanitario nazionale fra i 75 e i 100 euro. A cui vanno aggiunti i costi del personale e dei macchinari. Sarebbe impossibile farlo a chiunque…

Cosa fare, quindi?

Intanto studiare meglio il virus e i virus in generale, che sono la forma più presente sul nostro pianeta. Ricordiamo che ci sono altri coronavirus umani, come 229E, OC43, NL63 e HKU1 – i primi due li conosciamo dagli anni Sessanta e gli altri due dal 2005 circa – che causano il raffreddore. Eppure, uno di questi, NL63, ha lo stesso recettore del SARS-CoV-2. Dobbiamo imparare ancora molte cose, come ad esempio perché lo stesso virus ad alcuni dà sintomi minimi e ad altri provoca la polmonite.

Quindi, quali previsioni per il prossimo futuro?

Ci sono due possibilità: o questa diventa la nuova peste, ma ne dubito seriamente, o al contrario – come avvenuto in Cina – seguirà la curva epidemiologica e l’emergenza si sgonfierà nel giro di pochi mesi. Alternativamente, potrà diventare un nuovo virus “umano” che persiste nella popolazione e ricorre stagionalmente come gli altri virus del raffreddore. Ma per saperlo, dobbiamo aspettare.

Intanto?

Intanto, in assenza di un vaccino, dobbiamo adottare tutte le misure possibili per limitare il contagio.

Coronavirus: nuova peste o raffreddore del futuro? Le risposte del virologo Giorgio Palù

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