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In viale dell’Astronomia oggi pomeriggio ha preso ufficialmente il via la stagione di Carlo Bonomi. L’ormai ex numero uno di Assolombarda – eletto alla guida di Confindustria lo scorso aprile – sarà chiamato a guidare le imprese italiane in una delle fasi più critiche della storia dell’Italia repubblicana: quella del post-coronavirus e della crisi economica che il lockdown globale degli ultimi mesi ha inevitabilmente innescato. Per di più in un quadro politico interno in perenne evoluzione e fibrillazione nel quale la litigiosità tra i partiti – di maggioranza e opposizione – continua a crescere, così come l’incertezza sugli assetti e gli equilibri di breve e medio termine. In questo contesto, che ruolo riuscirà a giocare il nuovo presidente di Confindustria? Quali saranno le sue priorità? E che tipo di agenda economica e industriale Bonomi cercherà di varare? Formiche.net lo ha chiesto a Stefano da Empoli, presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com).

Da dove comincerà Bonomi a suo avviso?

Trovo interessante e indicativo che abbia deciso di mantenere alcune deleghe molto importanti per Confindustria. Precisamente tre: la politica industriale, l’Europa e il centro studi, che ha svolto nei decenni una funzione molto incisiva confermata anche dagli incarichi di assoluta rilevanza che alcuni dei suoi direttori sono andati poi a ricoprire. La scelta di tenere queste tre deleghe mi pare indichi, almeno in parte, anche quali saranno le sue priorità.

In che senso?

Partendo dal centro studi, direi la volontà di puntare con forza sulla capacità di analisi e di proposta di Confindustria. D’altro canto, l’Europa rappresenta una chiave fondamentale per la competitività del sistema industriale italiano che continuerà a reggersi, in misura rilevante, sull’export e sui legami privilegiati con alcuni Paesi: penso, in primis, alla Germania ma anche alla Francia. Ci vorranno, al tempo stesso, un forte focus e una presenza costante sui tavoli europei e su quelli italiani. La delega alla politica industriale indica il tentativo di provare a guidare il percorso di trasformazione che attende le imprese. In questo senso le due sfide principali sono rappresentate dalla trasformazione digitale e dalla sostenibilità. Con l’obiettivo fondamentale di riportare la produttività – vero tallone d’achille dell’economia italiana da alcuni decenni a questa parte – al centro delle politiche del governo attuale e di quelli futuri.

Cosa si attende sulle politiche per il digitale?

Innanzitutto che spinga ancora di più su proposte di policy che favoriscano la trasformazione digitale delle imprese. In questo senso non può sfuggire, ad esempio, che nel decreto Rilancio manchi purtroppo ogni riferimento al piano Impresa 4.0. In questi anni Confindustria ha svolto sicuramente questa attività, ma si tratta, a mio avviso, di un tema che deve rappresentare una priorità assoluta per il nuovo presidente.

Le imprese italiane sono ancora in ritardo da questo punto di vista?

La crisi di questi mesi ha evidenziato una forte resilienza da parte delle imprese italiane, come emerge anche dai dati che ci dicono come sempre più aziende abbiano deciso di puntare sull’e-commerce. Tuttavia occorre accompagnare nelle realtà territoriali il processo di digitalizzazione delle imprese, in particolare di quelle piccole e medio-piccole, che, inutile nasconderlo, mostrano in tal senso le maggiori difficoltà.

Sulla sostenibilità, invece, qual è la sfida principale?

Credo che il faro in tal senso debba essere la proattività, molto più di quanto non sia tradizionalmente successo. È giusto sottolineare che questi processi debbano avvenire secondo modalità adeguate e tempi certi e graduali ma a volte la sensazione è che le associazioni industriali abbiano giocato un po’ troppo in difesa su questo tema. Per la verità più nel passato che negli ultimi anni.

Perché si tratta di un fattore così rilevante?

Innanzitutto perché la strada in Europa è tracciata in maniera ineluttabile: prima ci attrezziamo e prima aiutiamo il sistema delle imprese a prepararsi e meglio è. Al mondo dell’industria conviene farsi portatore di una visione attiva e strategica per portare questi temi sui tavoli del governo e su quelli europei. La sostenibilità comunque – voglio ribadirlo – è un tema da declinare insieme al digitale. Il contributo di un’associazione come Confindustria sia di analisi che di proposte è essenziale, a partire dalle esigenze e dalle esperienze che pure in Italia ci sono all’interno del sistema industriale. Andrebbero sistematizzate e messe a fattor comune.

Sullo sfondo, ma neppure troppo, rimane il nodo burocrazia su cui Confindustria negli ultimi anni ha ingaggiato una campagna pubblica anche dura. Continuerà ad essere così anche per Bonomi?

Penso assolutamente di sì, il tema delle semplificazioni è cruciale per il Paese e per l’impresa. Non mi riferisco solo allo snellimento dei processi autorizzativi per le opere pubbliche dei procedimenti ma a una riforma a 360 gradi.  Nella vita delle aziende e dei cittadini ci sono colli di  bottiglia che dovrebbero essere eliminati. La sfida fondamentale è passare da una concezione formalistica del rapporto tra Stato a imprese a una più sostanziale, come a un dialogo tra partner più che tra avversari. Naturalmente prevedendo gli strumenti adatti per evitare che dalla normalità si passi alla patologia. Si tratta di un grande cambio culturale: immaginare un’interlocuzione più veloce e più semplice. Il contributo della Confindustria di Bonomi in tal senso potrà essere determinante.

Che rapporti immagina Bonomi saprà creare con il sindacato? L’emergenza coronavirus – con le polemiche sui protocolli di sicurezza e la recente querelle Fca – sembra aver riaperto vecchie ferite.

Credo che Bonomi potrà trovare un punto di incontro con i sindacati sulla base di una serie di battaglie e di questioni su cui ci può essere un interesse comune. A partire, ad esempio, dal capitale umano: le politiche rivolte alla formazione e all’innovazione rappresentano capisaldi  fondamentali per colmare proprio quel gap di produttività che l’Italia sconta rispetto ai partner internazionali.

E dal punto di vista politico che ruolo pensa riuscirà a ricavarsi? Stefano Folli qualche giorno fa su Repubblica ha scritto che Confindustria sarà il nuovo giocatore di questa fase.

Mi attendo una linea chiara e non tatticista in linea con la storia di Bonomi che in questi anni alla guida di Assolombarda ha assunto posizioni coerenti e in alcuni casi anche forti. D’altra parte è naturale, come già accaduto più volte in passato, che il presidente della principale associazione privata diventi un player politico di primo livello. Senza dimenticarsi naturalmente di chi rappresenta ma, anzi, per rappresentarlo meglio. Ed è giusto così, sarebbe strano il contrario. Certo, negli ultimi anni la capacità mediatica individuale, oltre che organizzativa, ha cambiato le cose. Penso riuscirà a ritagliarsi un ruolo tanto più centrale quanto sarà più in grado di unire comunicazione e sostanza. A Milano mi pare ci sia riuscito bene. Ora deve riuscirci a Roma su un palcoscenico senz’altro più sfidante.

 

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