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È la democrazia, bellezza. E anche la politica, un’attività che non è molto diversa da quella imprenditoriale: si gioca, a volte d’azzardo, si rischia e si vince o si perde. Boris Johnson ha buttato senza indugi e con rapida determinazione tutte le sue carte sul tavolo e ha vinto. Stravinto, anzi.

Il popolo, o meglio gli elettori, gli hanno dato ragione e hanno severamente punito i suoi avversari: l’improbabile alleanza fra le élite cosmopolite e multiculturali e un partito, quello laburista, ritornato su posizioni veteromarxiste tanto velleitarie ed estremistiche quanto lontane dalle vere esigenze e dei bisogni dei forgetten men dell’Inghilterra profonda. C’è però dell’altro nella vittoria senza appello di Boris.

C’è la protervia di una classe dirigente europeista a Londra, ed europea a Bruxelles, che, arrogantemente convinta della bontà delle proprie idee, le ha provate tutte per eludere un voto chiaro, preciso, lineare sulla Brexit: quello di due anni fa. Inventandosi addirittura, con Tony Blair, la possibilità di una seconda votazione per cancellare la prima. Paventando catastrofi che razionalmente non è dato vedere e rendendo ancora più chiara quell’essenza dell’Unione Europea così come è oggi che agli inglesi, e direi tutti gli uomini liberi, non accettano e non possono accettare. Il suo essere una “gabbia di acciaio”, tanto capillare e pervasiva quanto soft e gentile nei modi.

C’è chi oggi, fra i commentatori mainstream e più o meno liberal, scriverà che è un brutto giorno per il Regno Unito e per la democrazia, ma chi come noi ha (o almeno crede di avere) senso storico vedrà nel voto inglese un’altra cosa: non la sconfitta della democrazia, sarebbe assurdo dirlo davanti a un voto popolare, quanto la ribellione degli uomini liberi, di coloro che già con le solenni parole pronunciate in Parlamento da sir Edmund Burke duecento e passa anni fa si ribellarono ai processi razionalizzatori e imposti dall’alto dall’esprit gèometrique degli illuministi d’Oltre Manica.

Ed è significativo non poco che a rappresentare questa svolta sia un personaggio tanto buffo e intelligente al tempo stesso come Boris, che sembra uscito da un’epopea romantica con protagonista l’eroe tutto genio e sregolatezza. Ora toccherà a lui la parte più difficile: portare a termine un processo irreversibile, rimettere in moto le energie di un popolo indomito, non contraddire coi fatti le promesse fatte agli ultimi e ai deboli, ridare slancio al Paese. Affinché anche questa volta, come per tante altre vicende del passato inglese, si possa dire: “Sembravano traversie e invece erano opportunità”.

Johnson ha giocato d'azzardo e ha stravinto. Il commento di Ocone

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