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L’attuale pandemia con le sue drammatiche conseguenze sulla popolazione e sull’economia impone una riflessione ampia e profonda sull’organizzazione della nostra società e, in particolare, sui punti di debolezza che sono emersi. Dobbiamo, infatti, essere consapevoli che nel mondo globalizzato questo tipo di emergenze, insieme ad altre, possono ripresentarsi molto più frequentemente che nel passato.

L’interdipendenza economica, industriale, commerciale e delle attività di ricerca e formazione, insieme al movimento delle persone per motivi turistici, di lavoro e di migrazione, aumentano e amplificano i rischi di contagio. Sono alcune delle inevitabili conseguenze della globalizzazione con cui dobbiamo imparare a convivere.

La nostra società vede crescere la sua complessità interna, ma anche la sua dipendenza internazionale. Questo comporta che, a livello nazionale, dovrà essere riconsiderata la nostra capacità di gestire efficacemente le emergenze e, a livello internazionale, dovranno essere rafforzate e probabilmente ridisegnate le organizzazioni e le regolamentazioni in modo da contenere il più possibile i danni derivanti dall’allargamento ad altri Paesi.

Il più importante insegnamento dall’attuale pandemia ci viene dalla consapevolezza che nessun Paese al mondo e nessuna organizzazione internazionale era preparata ad affrontarla e che, con umiltà e buona volontà, tutti dovranno studiare a fondo quanto è avvenuto e fare i compiti a casa, sapendo, però, che i risultati saranno interdipendenti con quelli degli altri, vicini e lontani.

DIFESA E SICUREZZA

La sicurezza deve diventare la parola d’ordine del nuovo decennio, allargandone ancora di più i confini già ampi con cui molti l’avevano già approcciata dall’inizio del nuovo secolo. Da tempo ormai ogni riferimento alla “difesa” era associato a quello della “sicurezza”, al punto che potevano sembrare sinonimi e alcuni sembravano non vedere più, oltre ai fattori di comunalità e collegamento, i tratti distintivi.

Nello stesso dibattito sulla difesa vi erano stati dei profondi cambiamenti, soprattutto legati alla comparsa delle guerre ibride e al venir meno dei confini come elemento distintivo fra difesa (esterna) e sicurezza (interna). Di fatto la necessità di stabilizzare le aree di crisi e contrastare diversi fenomeni di criminalità (pirateria, traffici illeciti e di essere umani) ha portato ad aumentare e allargare le missioni internazionali, ampliando il concetto stesso di difesa.

Va, però, rilevato che in queste missioni internazionali vi era un insegnamento che non sempre è stato colto e seguito appieno, quello insito nel termine inglese “comprehensive approach” che in italiano può essere tradotto con “approccio globale”. L’intervento militare, quando necessario, deve essere accompagnato e via via sostituito dall’intervento di sostegno al rafforzamento delle istituzioni nazionali, creando una cornice di sicurezza per una ripresa della vita sociale ed economica locale.

Nel frattempo i ripetuti attacchi terroristici e informatici hanno spinto la comunità internazionale ad allargare il concetto di sicurezza. Ma, fino ad ora, nell’affrontare questo tema è sembrato rimanere un vincolo, quello della volontarietà degli interventi ostili, visto come fattore distintivo e discriminante.

Anche se si è allargato il fronte dei possibili obiettivi da tutelare, dalle infrastrutture critiche “fisiche” (reti di comunicazione e di trasporto, infrastrutture fisiche, impianti di energia) a quelle “virtuali” (raccolta e elaborazione dati, tecnologia, attività finanziarie, informazione), la loro sicurezza è stata vista soprattutto in rapporto a possibili attacchi ostili o terroristici.

In questo quadro non sembra essere stato compreso nemmeno il fenomeno delle consistenti migrazioni che si sono sviluppate dalla metà dello scorso decennio. Al di là degli scontri, spesso ideologici, fra chi voleva controllarle intervenendo militarmente più o meno lontano dalle nostre coste, molti sono sembrati non capire che le basi e le ragioni di questo fenomeno stavano nelle drammatiche condizioni in cui si trovavano e si trovano i territori di origine dei migranti, acuite ma non limitate alle aree di crisi.

Anche in questo caso, quindi, la nostra sicurezza avrebbe richiesto, come nel caso delle missioni internazionali, un approccio globale per gestire il fenomeno nella sua interezza e, in particolare, nelle sue vere cause ed origini, non solo nel suo inevitabile sbocco.

UNA NUOVA SICUREZZA GLOBALE

Nella lingua italiana si usa sempre il termine sicurezza per tradurre sia “security“, intesa come la protezione di una persona, struttura, organizzazione, paese dalle minacce criminali o dagli attacchi di paesi stranieri, sia “safety”, intesa come la condizione in cui o il posto dove si è sicuri e non in pericolo o a rischio. Per noi, quindi, parlare di sicurezza significa affrontare insieme lo strumento e l’obiettivo.

Le società moderne sono complesse, complicate e inevitabilmente interdipendenti a livello regionale e internazionale. Nel nuovo contesto delle società moderne e sviluppate, è più semplice accettare il principio che non ci sono settori esclusi dalla necessità di sicurezza, che non cercare di elencare quelli coinvolti: da quella “classica” (contro terrorismo e criminalità organizzata) a quella delle infrastrutture, delle reti, del trattamento dati, delle informazioni, finanziaria, energetica, sanitaria, alimentare.

Per questo l’unico approccio possibile è quello di affrontare la sicurezza in termini globali. A livello nazionale il nostro obiettivo deve essere quello di elaborare una strategia nazionale per la sicurezza globale che offra una nuova e più efficace strumentazione istituzionale, giuridica, operativa, procedurale, ma che, insieme, aiuti anche la nostra opinione pubblica ad essere preparata alle prossime sfide, salvaguardando insieme la tutela della salute, quella del lavoro e quella del nostro modo di vivere e convivere all’interno della nostra comunità.

A livello internazionale il nostro obiettivo deve essere quello di favorire la messa a punto di efficienti risposte collettive da parte delle organizzazioni internazionali di cui facciamo parte, in primo luogo quelle europee, fornendole degli strumenti giuridici, finanziari e operativi necessari.
In noi tutti deve, però, crescere la consapevolezza che la nuova sicurezza o è globale o non è.

 

Articolo pubblicato su Affari Internazionali

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