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Raccontano che Matteo Salvini, quando era al Viminale, avesse sulla sua scrivania la foto di Matteo Renzi. Doveva ricordargli, ad ogni momento, il rischio che si può correre oggi in tempi di idee e umori fluttuanti: perdere in un lampo il consenso ricevuto da larghi strati della popolazione. E in effetti, il Matteo toscano, partito da grandi idee trasformative (la “rottamazione”), si era poi adagiato fra le comode braccia del potere di sempre. Forse anche per non aver mostrato nessuna arrendevolezza e non aver ceduto a sostanziali compromessi, Salvini ha potuto addirittura raddoppiare i consensi della Lega stando al governo. Fino a che, sottovalutando la forza dei poteri più o meno forti che si opponevano alle sue politiche, non ha commesso l’errore strategico di forzare la mano l’estate scorsa.

Un secondo errore strategico possiamo dire ora, col senno di poi, che il leader della Lega lo ha compiuto dando non solo un valore nazionale, ma addirittura “epocale” al voto nella regione più rossa d’Italia: l’Emilia Romagna. Non quello di una battaglia ma addirittura di una guerra. E, per di più, di una guerra che era anche un referendum sulla sua persona. Che è, a ben vedere, proprio l’errore che aveva compiuto Renzi dando al referendum costituzionale un valore che trascendeva l’oggetto specifico su cui gli italiani furono chiamati, il 4 dicembre 2016, ad esprimersi. Proprio il senso ultimo che Salvini ha dato al voto emiliano, fa sì che oggi si possa parlare di una secca sconfitta, nelle urne e non attraverso “giochi di palazzo”, del suo progetto. Lo stesso dato storico di un partito che contende in terra emiliana al Pd lo scettro di primo partito passa in secondo piano di fronte a questa lettura meramente politica e nazionale del dato elettorale.

Il fatto poi che Stefano Bonaccini abbia preso più voti delle liste a lui collegate, e che quindi abbia avuto un peso il voto disgiunto, dimostra che Lucia Borgonzoni, che pure è bolognese, sia stata vissuta come un candidato “catapultato” dal centro e non scelto con particolare attenzione visto che la partita la Lega aveva deciso di giocarla su un altro piano. Si impongono due considerazioni, una più specifica sul voto e l’altra di prospettiva sulla politica e sul governo nazionali. Dal primo punto di vista, si può dire che, se Salvini esce sconfitto dal voto, l’unico vero vincitore sia Bonaccini. Non lo è il Pd, che ha resistito più che altro per forza di inerzia e trainato dal suo governatore. E non lo sono le Sardine, che hanno fatto colore ma che, a mio avviso, non hanno apportato nessun contributo sostanziale alla vittoria del candidato di sinistra. Tanto che l’esagerato ringraziamento rivolto loro da Nicola Zingaretti risulta quasi surreale.

Le elezioni le hanno poi perse sonoramente Cinque Stelle e Forza Italia. Ciò a conferma sia del carattere polarizzante dato assunto da queste elezioni, sia della crisi di leadership e di idee dei due partiti. Che i Cinque Stelle siano destinati a un declino e a giocare in futuro un ruolo “residuale”, era prevedibile e lo sapevamo. Quanto a Forza Italia, il discorso è più complesso. Salvini, infatti, secondo me, per dare un senso politico ai voti che ha conquistato in questi anni, se non di Forza Italia certo di un’area di destra meno istintiva e “rivoluzionaria” ha bisogno oggi come non mai. Se è vero che gli italiani sono da un bel po’ arrabbiati e inclini a protestare, è pur vero che essi, come sempre, cercano tranquillità e rassicurazioni che una politica “muscolare” non temperata non può per sua natura trasmettere. Prima Salvini lo capirà, meglio sarà per chi crede che la sinistra non sia ciò di cui ha bisogno oggi il nostro Paese per guardare con qualche speranza al suo futuro.

Un altro vincitore della tornata elettorale, pur se non direttamente coinvolto (almeno in apparenza), è poi sicuramente Giuseppe Conte, il cui governo esce di fatto rinforzato dal voto emiliano. Resa più lontana la prospettiva di una “spallata”, bisogna però ora vedere come il presidente del Consiglio saprà giocarsi la sua partita.

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