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Le Nazioni Unite sopravviveranno al coronavirus? È la domanda che circola negli ambienti vicini al Palazzo di Vetro di New York, dove è ormai evidente che la pandemia potrebbe rappresentare la minaccia maggiore per l’organizzazione internazionale nei suoi 75 anni di storia. A “paralizzare” l’azione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu è il braccio di ferro tra Usa e Cina: ci è voluto quasi un mese per riuscire a organizzare la prima riunione virtuale sulla pandemia, e come rivelano fonti diplomatiche a Formiche.net, “è già stato difficile accordarsi per questo incontro”, facendo capire quanto sia profonda l’impasse all’interno dell’organo esecutivo delle Nazioni Unite.

Pietra della discordia è la bozza di documento bloccata da tempo sul tavolo dei Quindici: Washington insiste nel volere una menzione esplicita del fatto che il virus ha avuto origine a Wuhan, ma la proposta incontra ovviamente la ferma opposizione di Pechino. Nel confronto – rivelano le fonti – si è inserito il solito Emmanuel Macron proponendosi nel ruolo di mediatore. Era stato lo stesso presidente francese, nelle ultime settimane, a fare pressioni per organizzare un vertice virtuale ristretto ai cinque membri permanenti del Cds (Usa, Cina, Russia, Francia e Gran Bretagna) e per coordinare un piano che includesse una risoluzione per fermare i combattimenti nei conflitti monitorati dall’Onu.

Un appello a serrare le fila di fronte all’emergenza è arrivato da Antonio Guterres, che nel corso della riunione in videoconferenza a porte chiuse tenutasi ieri pomeriggio ha ribadito come “un segnale di unità e risolutezza da parte del Consiglio conterebbe molto in questo momento di ansia”. Il segretario generale ha ricordato “il ruolo cruciale che il Cds ha svolto nel gestire la risposta della comunità internazionale riguardo le implicazioni sulla sicurezza durante la crisi dell’Hiv/Aids e l’epidemia di Ebola”, poi precisando: “Questa è la lotta di una generazione, e la ragion d’essere delle stesse Nazioni Unite. Per prevalere sulla pandemia oggi dobbiamo lavorare insieme”.

“L’incontro – spiegano le fonti – è stato un primo approccio, nel quale si è evitato di discutere della richiesta degli Usa, nodo che dovrebbe essere affrontato la settimana prossima”. C’è chi sostiene che si stanno facendo buoni progressi, ma trovare un compromesso tra le due potenze richiede tempo. E per inviare un segnale (minimo) di unità, i Quindici hanno intanto approvato una dichiarazione con cui “esprimono il loro sostegno per gli sforzi del segretario generale in merito al potenziale impatto della pandemia sui Paesi in guerra, ribadendo la necessità di unità e solidarietà verso tutte le persone colpite”.

L’ambasciatrice americana al Palazzo di Vetro Kelly Craft, però, ribadisce la posizione di Washington, ossia la “necessità di trasparenza e condivisione tempestiva di dati e informazioni sulla salute pubblica all’interno della comunità internazionale”. “Il modo più efficace per contenere questa pandemia è attraverso un’accurata raccolta di dati basata sulla scienza e l’analisi delle origini, delle caratteristiche e della diffusione del virus”, precisa. Un messaggio rivolto in particolare a Pechino, che replica attraverso l’ambasciatore al Palazzo di Vetro, Zhang Jun, avvertendo come il Cds dovrebbe respingere qualsiasi atto di stigmatizzazione e politicizzazione. Perentorio il giudizio di Richard Gowan, rappresentante alle Nazioni Unite per l’International Crisis Group: “I P5 sono sempre più divisi. Questa crisi ha dimostrato che né la Cina né gli Usa sono pronti e in grado di guidare il sistema Onu”.

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