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Certo, l’antipatico Emmanuel Macron. Troppo spinto sull’acceleratore della ripartenza, crocifisso da buona parte dei commentatori mainstream che tanto credito danno ai medici dell’élite parigina e ai sindacati, pronti a scattare a ogni prudente programmazione di riapertura di scuole e aziende. D’altronde, furono i comitati scientifici a dare via libera al voto per eleggere i sindaci a marzo, salvo cambiare versione 24 ore dopo e suggerire all’Eliseo di chiudere la Francia.

Ciò che succede oggi Oltralpe, nel caos generato dal diffondersi della pandemia e a quasi un mese dal primo lockdown, è che il presidente della Repubblica si presenti invece in tv per la quarta volta, non limitandosi a dire che si sta lavorando, né tanto meno che prenderà decisioni difficili. Macron, a reti unificate, traccia una rotta che permette ai francesi in eguale stato di semi-reclusione di liberarsi dai molteplici dubbi che stanno rendendo la quarantena ancora più difficile da sostenere.

Non dà prova di autoritarismo, evoca scenari di riapertura graduale delle scuole elementari a partire dall’11 maggio e coinvolge tutto il Paese a partire dal Parlamento: anziché essere edotta sulle decisioni dell’Eliseo, l’Assemblea nazionale viene chiamata ad assumere un ruolo da protagonista per definire i necessari provvedimenti di sostegno alla popolazione, fermo restando che la Francia resterà in lockdown almeno per un altro mese.

Non c’è solo il coronavirus sul piatto. Ma la credibilità di un leader che dopo alcune leggerezze iniziali, già costate a lui qualche punto di gradimento, e per cui ha fatto pubblicamente mea culpa, torna a parlare su 13 televisioni liberando milioni di francesi da piccole incognite che hanno anche un valore monetario. Per esempio, il secco no a dare via libera a festival e concerti estivi, permettendo quindi al comparto di organizzarsi e chiedere il sostegno statale.

Anzitutto, ha chiarito il ministro dell’Interno Cristophe Castaner, il cosiddetto deconfinamento non è automatico né certo. Piuttosto, si tratta di “un auspicio”. Il messaggio di Macron è quindi un richiamo alla disciplina e al rispetto delle disposizioni affinché possa realizzarsi quanto prima il déconfinement, e la data più plausibile è proprio quella dell’11 maggio. Riaprire gradualmente, non certo dare via libera a risollevare saracinesche di bar e ristoranti.

Attivare le aziende senza le scuole – peraltro sarà facoltà dei genitori scegliere se mandare o no i ragazzi in classe – sarebbe pressoché impossibile, in Francia. Perché un adolescente all’ultimo anno di superiori può anche restare a casa da solo, ma un bimbo di otto no. Ecco la ratio della timeline tracciata da Macron: la riapertura progressiva dei plessi scolastici è connessa alla ripartenza del Paese, altrettanto dipendente dall’evoluzione del contenimento del Covid-19 che sarà accompagnata dall’uso massivo di mascherine e test su chiunque presenti sintomi.

“Dall’11 maggio, i sindaci dovranno assicurare a ogni cittadino una mascherina, grazie all’importazione e alla mobilitazione dei nostri imprenditori che le stanno producendo”. “La fine definitiva di questa prova? Mi piacerebbe potervi rispondere, ma in tutta franchezza non abbiamo risposte definitive”. Finché non ci sarà “un vaccino”, si resta appesi. Non fermi e non (più) sprovvisti di dispositivi di protezione individuale.

“Il Paese investirà nella ricerca per accelerare il lavoro”, assicura Macron. “Con calma e coraggio so che la nostra nazione continuerà a vivere la sua vita democratica, nel dibattito, ma uniti”. È vero, dice Macron, “come tutti i Paesi abbiamo identificato problemi legati alla distribuzione delle mascherine, ma le nostre imprese hanno risposto presente e una produzione come in tempo di guerra è stata messa in piedi. Abbiamo moltiplicato per 5 quella francese”. Anche a costo di sembrare patriottico, ha centrato l’obiettivo.

Tutti contro Macron. Ma se il modello francese sulle riaperture funzionasse?

Di Francesco De Remigis

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