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Domani il segretario di stato americano Mike Pompeo e il vice presidente Usa Mike Pence incontreranno Recep Tayyip Erdogan, per una riunione che “avrà soprattutto l’obiettivo di dare rassicurazioni a Gerusalemme, che sebbene silente è molto preoccupata di ciò che sta accadendo”.
A crederlo è Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri e ambasciatore in Israele e negli Stati Uniti, che in una conversazione con Formiche.net promuove l’approccio tenuto finora dall’Italia sul dossier e analizza le mosse di tutti gli attori che si muovono nella regione.

Ambasciatore Terzi, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha rivolto al presidente turco Recep Tayyip Erdogan il “fermo e risoluto invito dell’Italia a ritirare le truppe” dalla Siria ed “interrompere ed evitare l’iniziativa militare” ribadendo che “la ricerca della soluzione può essere solo politica”. Condivide queste parole?

Assolutamente sì. Bisogna dimostrare fermezza circa quello sta accadendo in Siria. La Turchia deve cessare gli attacchi e il presidente Conte ha fatto bene a sottolinearlo. A queste parole spero che vengano affiancati anche provvedimenti concreti, anche sanzioni se necessario, da concordare su un piano europeo. Mi rendo conto che le nostre aziende potrebbero soffrire di alcune difficoltà, ma a mio avviso è un rischio da correre.

In Parlamento c’è chi ha proposto il ritiro dei nostri soldati dalla Siria, dove in corso una missione anti Isis della Nato. La convince?

Per carità, a mio parere è proprio dalla scelta di ridurre la presenza americana, fatta da Donald Trump, che dipende l’escalation di attacchi operati dalla Turchia contro i curdi.

In che modo le due cose sono collegate?

Penso che la telefonata del 6 ottobre con la quale il presidente Usa ha detto di aver detto di aver posto delle condizioni precise a Erdogan per procedere in Siria sia stata interpretata dalla Turchia come un lasciapassare a compiere qualsiasi tipo di attacco. Né il presidente turco si lascia intimidire da semplici parole, come si è visto dalla lettera di Trump che ha stracciato. Non è un caso che anche politici repubblicani, ma in particolare tutto il mondo della sicurezza e della difesa americana si siano dimostrati critici nei confronti della decisione della Casa Bianca di abbandonare la Siria. Già Mattis e Bolton si erano dimessi davanti a uno scenario simile. E anche il numero uno del Pentagono ha inviato una lettera di rassicurazione ai militari americani, che era anche un messaggio a Trump.

Perché questa contrarietà?

Andare via dalla Siria significa in primo luogo che 11mila miliziani dell’Isis, con 70mila loro familiari – molti dei quali addestrati e in grado di colpire – possano muoversi liberamente per andare chissà dove. E poi soprattutto perché l’assenza americana aprirebbe spazi enormi non solo per Erdogan, ma anche per la Russia di Vladimir Putin e l’Iran. È evidente che Ankara, Mosca e Teheran sono coordinate in questa azione. Con Assad che, in ogni caso, punta a rimanere al comando di ciò che resterà della Siria.

Che cosa farà la Russia?

Putin si comporta ormai come il padrone della regione. Gira il Medio Oriente e i Paesi del Golfo, stringe mani, impartisce ordini, ferma o autorizza operazioni. Anche per questo ritengo che una presenza americana sia assolutamente indispensabile. Capisco il fatto che, essendo ormai gli Usa indipendenti dal punto di vista energetico, ripongano meno sforzi nel controllo di quell’area di mondo. Ma c’è ancora bisogno del presidio Usa e occidentale per evitare che possano consumarci ulteriori orrori di questa guerra.

Domani il segretario di stato americano Mike Pompeo e il vice presidente Usa Mike Pence incontreranno Erdogan. Riusciranno a farlo tornare sui suoi passi?

Io credo che l’incontro avrà soprattutto l’obiettivo di dare rassicurazioni a Israele, che sebbene silente è molto preoccupata di ciò che sta accadendo, perché teme l’iniezione di potenza data all’Iran attraverso un ritirò così plateale. Gerusalemme teme che possa aprirsi un corridoio che la metterebbe ulteriormente in pericolo. Se Erdogan e i suoi proxy apriranno del tutto quella striscia, compiendo questo progetto a più fasi di sostituire tutti i curdi siriani presenti in quella zona cuscinetto con la scusa del terrorismo, le conseguenze potrebbero essere imprevedibili.

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Domani il segretario di stato americano Mike Pompeo e il vice presidente Usa Mike Pence incontreranno Recep Tayyip Erdogan, per una riunione che "avrà soprattutto l'obiettivo di dare rassicurazioni a Gerusalemme, che sebbene silente è molto preoccupata di ciò che sta accadendo". A crederlo è Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri e ambasciatore in Israele e negli Stati…

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