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“La crescente influenza della Cina e le sue politiche rappresentano opportunità e sfide che la Nato deve affrontare insieme”. Questa frase, inserita nel documento congiunto che ha chiuso il vertice con cui l’alleanza ha festeggiato i suoi 70 anni (ieri, in Inghilterra), fotografa perfettamente la situazione che la Nato si trova davanti. La Cina – un colosso globale che cresce dal punto di vista economico e abbina a questo sviluppo una presa politica via via più intensa a livello internazionale.

Il rapporto con Pechino è un tema che è diventato adesso stringente, ma che per diverso tempo è stato tralasciato dall’Alleanza atlantica – che ha un deficit di consapevolezza riguardo alla gestione delle relazioni col Dragone, sia sotto gli aspetti della minaccia sia per quelli che riguardano le potenzialità di cooperazione.

La questione Cina non è certo uscita tutta contemporaneamente, s’è creata nel corso del tempo e – sebbene negli ultimi anni la Nato abbia acquisito maggiore assertività sul tema – per lunghi periodi tutto quello che riguardava la Repubblica popolare sembrava non dover interessare le decisioni e le policy dell’alleanza.

Come fa notare su Twitter Andrew Small, che per il German Marshall Fund si occupa di relazioni transatlantiche, a mettere la Cina tra i punti in cima all’agenda Nato è stato Washington. E lo ha fatto con insistenza soprattutto negli ultimi due anni. Il confronto tra Stati Uniti e Dragone è il tema che occupa la gran parte degli affari internazionali del momento, ed è l’argomento principale di politica estera a livello globale.

È noto che l’amministrazione Trump abbia scoperto le carte sulle relazioni con la Cina, dimostrando come su tutto lo scibile Washington e Pechino seguano una forma competitiva e di confronto che durerà per i prossimi anni. E chiaramente gli americani hanno portato lo sviluppo della potenza cinese – che è ritenuto la sfida principale per l’ordine mondiale creato dall’Occidente –anche sul livello Nato.

Ma non tutti i paesi membri sono stati immediatamente d’accordo. Per esempio, non più tardi della scorsa settimana il presidente francese, Emmanuel Macron, aveva dichiarato che la Cina (e la Russia) non sono nemici e l’unico nemico della Nato era il terrorismo. Altri hanno a lungo glissato per ragioni di interessi. Ma forse con quest’ultimo vertice qualcosa è cambiato.

“Contrastare la crescita militare cinese” è diventata una necessità, come ha detto il segretario dell’alleanza, Jens Stoltenberg. Di fatto, l’incontro tra leader dei paesi membri appena concluso segna una prima volta: la Cina non era mai stata inserita come oggetto di attenzione in un documento totale dell’alleanza. Un allargamento di orizzonti che però, secondo alcuni analisti (tra questi Small appunto) rischia di restare fermo al contesto del vertice e di sviluppare un approccio privo della doverosa profondità.

Un’elaborazione di un pensiero comune in sede Nato su come affrontare la Cina potrebbe invece essere d’aiuto anche in altri ambiti. Per esempio in Europa, chiamata da Washington a scegliere con convinzione il lato di questo nuovo bipolarismo che tocca la totalità degli argomenti sul tavolo: dalla geopolitica alla tecnologia, al commercio e l’industria, al rispetto dei diritti.

 

Perché è importante per la Nato affrontare la Cina

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