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Ankara alza il tiro e inizia a testare il radar dell’S-400, il sistema russo al centro della disputa con Washington. Mentre si attendono le reazioni americane, che per alcuni potrebbero addirittura tradursi in sanzioni alla Turchia, si complica ancora di più il programma del vertice che tra una settimana riunirà a Londra i capi di Stato e di governo dell’Alleanza Atlantica.

I TEST TURCHI

Il comunicato ufficiale delle istituzioni turche parla di sorvoli sulla capitale “a bassa e alta quota” di velivoli militari, compresi gli F-16, al fine di “testare un sistema di difesa antiaerea”. Iniziati oggi, proseguiranno fino a domani. Secondo quanto riportano il quotidiano turco Milliyet e l’agenzia statunitense Bloomberg, senza smentite da parte della Difesa di Ankara, servono a testare i radar dell’S-400. A Washington la notizia ha già provocato qualche reazione. Bloomberg e altri informati siti specializzati non escludono la possibilità che l’amministrazione ricorra a sanzioni, uno strumento la cui sola minaccia, prima dell’estate, aveva fatto calare a picco la lira turca.

IL NODO PIÙ INTRICATO

Fu evidente da subito, lo scorso 13 novembre, che l’incontro alla Casa Bianca tra Donald Trump e Recep Erdogan non aveva sciolto i nodi più intricanti nel rapporto tra i due alleati, primo fra tutti l’S-400. Già all’indomani del vertice, Erdogan spiegava di non essere disposto a rinunciare al sistema russo, seppur ribadendo l’apertura presentata al collega americano su un eventuale acquisto di Patriot statunitensi. Quest’ultimo però è offerto da Washington quale alternativa all’S-400, e non come sistema opzionale o aggiuntivo. L’affondo successivo da parte delle Turchia era stato affidato al ministro della Difesa Hulusi Akar, che la scorsa settimana annunciava l’attivazione del discusso sistema “non appena sarà ultimato” il training tecnico del personale addetto alla sua gestione.

UN COLPO DURO

Nonostante Akar non abbia fatto alcun riferimento alle tempistiche, in molti vi hanno letto un’accelerazione sulla tabella di marcia che troverebbe ora conferma nei test sul radar. Ciò potrebbe non andar giù agli americani. Fin’ora, infatti, Ankara e Washington avevano trovato un tacito e indiretto accordo quantomeno sui tempi, dandosi fino alla prossima primavera per la risoluzione della disputa. Lo scorso luglio, quando si completava la prima consegna dell’S-400, le autorità turche affermavano che l’attivazione del sistema sarebbe avvenuta solo ad aprile. Lo stesso mese veniva individuato dal Pentagono per l’estromissione definitiva della Turchia dal programma F-35, già attuata ma considerata ancora provvisoria.

LA CARTA DI WASHINGTON

Proprio il caccia di quinta generazione resta l’arma più forte nelle mani degli americani per riportare all’ordine lo storico alleato della Nato. Anche nei momenti più tesi, Erdogan ha rivolto apprezzamenti e parole dolci al velivolo, e nessun vertice turco si è detto felice di uscire dal programma. Sull’F-35 la Difesa di Ankara ha puntato con decisione, coinvolgendo una fetta importante del comparto industriale per nulla intenzionata a perdere lavoro. Gli Usa continuano dunque a premere sul punto. Mentre Trump riceveva Erdogan alla Casa Bianca, il responsabile per il Pentagono per il programma F-35 Eric Fick riferiva non a caso al Congresso di aver individuato le alternative ai contributi industriali offerti dalla Turchia. Le preoccupazioni sono note: il sistema S-400 non può essere inter-operato con gli assetti della Nato, né inserito all’interno di un sistema di comando e controllo comune. In più c’è il rischio che il sistema russo venga utilizzato come assetto spia per carpire i segreti di altri armamenti, a partire dall’F-35, mandando informazioni riservate direttamente a Mosca. Anche se operato esclusivamente dai turchi, è difficile pensare che non possa conservare la possibilità di interagire con la casa madre.

IL CONTESTO NATO…

Per ora non sembra esserci comunque via d’uscita. Anche le pressioni della Nato sulla Turchia hanno sortito effetti piuttosto modesti. La scorsa settimana, durante la riunione a Bruxelles tra i ministri degli Esteri, il segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg ha provato a rispolverare la carota affermando che “la Turchia è un Paese molto importante per la Nato” e ringraziandola per gli sforzi nella guerra all’Isis. Il bastone era stato utilizzato qualche giorno prima da Emmanuel Macron nella nota intervista all’Economist. Il presidente francese aveva criticato aspramente l’avanzata turca sui curdi, individuando nell’iniziativa uno dei sintomi della “morte cerebrale della Nato”. Su quest’ultimo punto i ministri degli Esteri dell’Alleanza hanno smentito Macron, senza tuttavia riuscire ad eliminare l’impressione che la questione turca resti un problema grosso per la coesione interna della Nato.

…VERSO IL SUMMIT DI LONDRA

D’altra parte, in quello stesso vertice a Bruxelles si racconta di un colloquio teso tra il segretario di Stato Mike Pompeo (ormai delegato da Trump a seguire la questione) e il collega turco Mevlut Cavusoglu. Il capo della diplomazia di Ankara avrebbe accusato gli Usa del mancato rispetto degli accordi sulla Siria e di proseguire nella difesa dei miliziani curdi delle forze Ypg. Il dossier verrà ripreso al summit dei capi di Stato e di governo, in programma tra una settimana a Londra dove, per la seconda volta in meno di un mese, Trump ed Erdogan si ritroveranno faccia a faccia. Il vertice rischia di far registrare un’alta tensione, ed è forse per questo che Ankara ha scelto di giocare in anticipo. Chissà che nelle intenzioni dei turchi non ci sia il tentativo di solleticare la voglia di Trump di dimostrarsi abile negoziatore nella risoluzione delle controversie. Già in passato, Ankara ha fatto capire di voler un’interlocuzione al massimo livello istituzionale.

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