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La rivolta popolare contro il governo iracheno ha raggiunto il suo primo obiettivo: il premier Abdel Abdul Mahdi si dimetterà. Il presidente Barham Salih (un curdo) lo ha annunciato ieri in un discorso a reti unificate in cui ha provato a dare una spiegazione dei 250 morti durante la repressione di queste settimane di manifestazioni. Ora ci sarà la ricerca di un sostituto al premier che dovrà portare il paese fino alle elezioni anticipate (che saranno organizzate “il prima possibile” dice Salih).

La Reuters ha un’informazione esclusiva che conferma alcuni dei motivi della rabbia tra gli iracheni. Quella che porta la gente in piazza a urlare tra le altre cose “Fuori l’Iran” – che in Iraq ha una profonda presa sul paese, essendosi strutturato attraverso la diffusione di partiti/milizia molto fedeli. Teheran sarebbe intervenuta per impedire l’estromissione di Mahdi, pressando Hadi al-Amiri, leader politico della Badr Organization, uno partiti armati sciiti controllati dall’Iran.

Gli iraniani, secondo la Reuters, avrebbero chiesto ad al Amiri e ad altri politici di non togliere la fiducia al governo. E per farlo avrebbero inviato a Baghdad Qassem Souleimani, generale del corpo Quds, l’unità d’élite dei Pasdran che ha curato la diffusione di influenza iraniana nella regione mediorientale (Siria, Iraq, Libano) attraverso l’uso dei proxy politici e paramilitari.

Souleimani era nella capitale irachena mercoledì. Prima della riunione con il generale (il cui ritratto viene bruciato in strada dai manifestanti iracheni), Amiri aveva posizioni condivise con Muqtada al Sadr, religioso sciita dalle visioni populiste e leader del Movimento sadrista che critica le ingerenze esterne sul governo. Insieme volevano estromettere Mahdi. Dopo il faccia a faccia col generale iraniano però, Amiri ha cambiato rapidamente posizione sostenendo che sfiduciare il premier avrebbe comportato l’aumento del caos e delle proteste.

Tuttavia, stando alle parole del presidente Salih, la missione del generale iraniano non è riuscita. Già Associated Press aveva scritto di una visita di Souleimani nella Green Zone della capitale neo giorni in cui sono iniziate le proteste.

La Reuters da giorni ha informazioni ottime su quello che sta accadendo in Iraq. Un paio di settimane fa aveva raccolto fonti che spiegavano come le milizie sciite – che sono coordinate da remoto da Souleimani – avevano mandato dei cecchini sui tetti dei palazzi di alcune città per sparare contro i manifestanti. Era un modo per spaventare gli iracheni che scendevano in piazza e impedire altre dimostrazioni. Molte delle vittime sono state uccise da colpi di arma da fuoco, ma la gente non si è fermata.

L’Iran è vista come un’entità colonialista che direziona le dinamiche politiche nel paese, ed è dunque incolpata da una parte dei cittadini per le condizioni di vita che il governo riserva alla maggioranza degli iracheni. Nonostante la ricchezza petrolifera, molti nel paese vivono in condizioni di povertà. Ci sono situazioni di accesso limitato all’acqua pulita, all’elettricità, all’assistenza sanitaria di base e all’istruzione.

In piazza è scesa la componente demografica più forte, i giovani, che chiedono un lavoro e un futuro. Una protesta generazionale, una fascia di popolazione che non accetta un sistema clientelare e corrotto, legato spesso a dinamiche confessionali. L’Iran ha un grande interesse geopolitico per l’Iraq: il controllo nel paese (come quello in Libano o Siria, e i collegamenti in Yemen) permette a Teheran di bilanciare l’influenza dei nemici sunniti alleati americani.

(Foto: Wikipedia, Qassem Souleimani)

L’Iran prova a non perdere l’Iraq. La missione (fiasco) di Souleimani

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