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Ormai ci siamo, è scoccata l’ora di quella che può essere considerata a ragion veduta la madre di tutte le elezioni regionali. Dalle 7 di stamattina i cittadini emiliano romagnoli sono chiamati a votare il loro nuovo presidente e, in particolare, a scegliere tra i due candidati principali, il governatore uscente del Partito democratico Stefano Bonaccini e la leghista Lucia Borgonzoni, sostenuta pure da Fratelli d’Italia e Forza Italia.

Un’elezione densa di significati anche storici, considerato che si tratta da sempre della regione più rossa d’Italia: proprio da quelle parti, nei collegi di Imola e Ravenna, venne eletto nel 1882 Andrea Costa, il primo deputato socialista della storia del nostro Paese. Senza dimenticare che dal 1970 – quando furono istituite le regioni – in Emilia Romagna ha sempre vinto la sinistra. Dati che la dicono lunga sul valore simbolico e politico del voto il cui esito, qualunque esso sia, è destinato inevitabilmente a impattare sugli equilibri romani.

Quali saranno le conseguenze sul governo e sui partiti che lo sostengono? Che effetto avrà sul centrodestra e, soprattutto, sulle ambizioni della Lega? In pratica tutti i protagonisti della vita politica nazionale – da Giuseppe Conte a Nicola Zingaretti, passando per Matteo Salvini e Giorgia Meloni – si giocano oggi, nel segreto delle urne emiliano romagnole, una partita fondamentale. Ecco il borsino di Formiche.net, con i rischi e le opportunità che potrebbero derivare dal voto a seconda che vinca Bonaccini oppure Borgonzoni.

L’ATTESA DI GIUSEPPE CONTE

Potrebbe sembrare quasi paradossale considerato che dovrebbe trattarsi, almeno sulla carta, di un voto locale ma il primo spettatore interessato delle elezioni di oggi è proprio il premier. Due giorni fa il premier ha usato parole rassicuranti (“Non è un voto sul governo, noi andiamo avanti“) ma è chiaro che la situazione non sia così semplice: se dovesse vincere Bonaccini, non ci sono dubbi che l’esecutivo ne uscirebbe rafforzato così come il suo ruolo, mentre in caso contrario è complicato dire cosa potrebbe accadere.

L’eventuale vittoria di Borgonzoni potrebbe portare a una ulteriore blindatura dei partiti che compongono la maggioranza – nella consapevolezza che il ritorno anticipato alle urne rischierebbe seriamente di mandarli all’opposizione per cinque anni – ma anche aprire crepe così insanabili da determinare la caduta dell’esecutivo e, forse, pure la fine anticipata della legislatura. Giuseppe Conte non può non esserne consapevole e, probabilmente anche per questo, ha deciso di abbassare i toni sull’argomento e di concentrarsi sull’attività di governo. Memore anche della foto di Narni dello scorso autunno che precedette la batosta rimediata dal centrosinistra da parte della leghista Donatella Tesei.

LA SCOMMESSA DI SALVINI

Il leader della Lega ha puntato tutto sul voto in Emilia Romagna sul quale si è gettato anima e corpo ormai da mesi. Nelle ultime settimane ha tenuto decine e decine di comizi, battuto il territorio della regione in lungo e largo fino a raggiungere i paesini più piccoli e sottolineato a destra e manca la valenza tutta nazionale del voto. Una strategia chiara, tesa a legare i destini dell’esecutivo all’esito delle elezioni di domani, che produrrà effetti diversi a seconda dei risultati. Se Borgonzoni dovesse vincere, Matteo Salvini – indipendentemente dalla tenuta del governo e dalla prosecuzione della legislatura – potrebbe comunque gridare al miracolo: ovvero, aver vinto in una terra da sempre amministrata dalla sinistra. E le sue ambizioni e il suo peso, ovviamente, aumenterebbero ancora di più, anche nella mini-competizione interna al centrodestra con Giorgia Meloni di cui si è cominciato a parlare negli ultimi mesi.

In caso contrario, invece, ne uscirebbe comunque un po’ ammaccato: certo, potrebbe affermare di aver sfiorato l’impresa ma quando si personalizza in modo così esasperato come ha fatto lui negli ultimi mesi – vedi ad esempio alla voce Matteo Renzi – è inevitabile che le conseguenze di una mancata vittoria siano anche e soprattutto personali. Beninteso, la sua leadership non sarebbe in alcun modo in discussione ma i propositi di spallata sarebbero rimandati a data da destinarsi mentre gli alleati, in particolare Fratelli d’Italia, acquisirebbero nei suoi confronti un margine di manovra certamente superiore.

IL LIMBO DI ZINGARETTI

Il limbo di Nicola Zingaretti, in tutte le possibili accezioni che questa espressione può avere. Nel senso che il segretario del Pd  in queste ore si trova, come nessun altro, in una condizione di attesa quasi sospesa ma anche che da oggi alle 23, quando inizierà lo spoglio, dovrà prepararsi a ballare. Qualunque sia il risultato del voto emiliano romagnolo.

Nell’ipotesi di sconfitta le indiscrezioni circolate anche sui quotidiani parlano di un possibile passo indietro del governatore del Lazio dalla segreteria del Pd. Un tracollo di questa portata potrebbe rivelarsi troppo difficile da gestire per Zingaretti che si troverebbe in una situazione quasi da contrappasso: il più contrario di tutti alla nascita del governo giallorosso potrebbe essere l’unico a lasciare per il risultato di un voto sì locale ma dal forte carattere nazionale, di fatto anche sull’esecutivo Conte. Se Bonaccini invece vincesse, il segretario Pd ne uscirebbe rafforzato ma dovrebbe comunque prepararsi al congresso che ha convocato, forse un po’ frettolosamente, dopo le regionali della prossima primavera, il cui esito ovviamente è tutto da verificare. I possibili avversarsi – si parla ad esempio di Giorgio Gori e di Andrea Orlando – già si scaldano.

LA SFIDA DI MELONI

A rischiare meno in questa consultazione è Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia in questi ultimi mesi è fortemente cresciuta nella percezione degli italiani e nei voti che concretamente il suo partito è riuscito a ottenere in tutte le ultime tornate elettorali. Al punto di riuscire a diventare una spina nel fianco per Matteo Salvini. E il suo obiettivo, in fondo, rimane questo: dare continuità al processo di crescita che ha avviato dalle politiche del 2018. Per il resto la sua è una situazione quasi da win-win: se Borgonzoni perdesse, le eventuali ripercussioni negative impatterebbero soprattutto sulla Lega considerato quanto il leader del Carroccio ha spinto su questa consultazione. In caso contrario, invece, potrebbe comunque rivendicare di aver contribuito a un risultato effettivamente storico.

IL LOSE-LOSE DEI CINQUESTELLE

Dall’altra parte, però, c’è pure chi appare destinato a perdere qualunque sia il risultato delle elezioni. Ed è il caso dei Cinque Stelle, ormai orfani del capo politico Luigi Di Maio, che dopo aver accarezzato l’idea di non presentarsi alle regionali in Emilia Romagna alla fine hanno scelto di correre ma con un loro candidato autonomo, il consigliere comunale di Forlì Simone Benini. Una decisione che oggi li mette in una condizione difficilissima, da lose-lose. Se dovessero infatti strappare un buon risultato, è probabile che contribuirebbero ad affossare Bonaccini con tutto ciò che potrebbe derivarne per la tenuta dell’esecutivo e la prosecuzione della legislatura.

Se al contrario vincesse il candidato Pd, vorrebbe dire con ogni probabilità che i Cinque Stelle avrebbero ottenuto pochissimi voti. E pure in questo caso qualche conseguenza sull’esecutivo potrebbe esserci, magari con la richiesta di più ministeri da parte del Partito democratico.

 MATTEO RENZI ALLA FINESTRA

Dal canto suo l’ex premier, oggi leader di Italia Viva, in Emilia Romagna ha deciso di non schierarsi e oggi può guardare al voto per il nuovo presidente in una situazione di relativa tranquillità che gli consente di mantenere le mani libere. Anche e soprattutto in un’ottica nazionale. I rapporti con Stefano Bonaccini sono tradizionalmente positivi: fu l’ex presidente del Consiglio a volerlo nel 2015 alla guida della regione e poi a proporgli anche di occuparsi dell’organizzazione del Pd, per questo non c’è da dubitare che Renzi faccia sinceramente il tifo per lui. Se però l’esponente di centrosinistra dovesse perdere, è probabile che il fondatore di Italia Viva proverebbe a sfruttare il momento per tornare comunque protagonista a Roma. In questo senso, secondo quanto raccontato ad esempio ieri da Repubblica, il suo vero obiettivo sarebbe la sostituzione di Giuseppe Conte, magari con Dario Franceschini. Insomma, un nuovo governo per provare a far durare ancora la legislatura.

LA PRIMA PROVA DELLE SARDINE

Infine, inutile negarlo, pure le Sardine di Mattia Santori oggi si giocano un pezzo non irrilevante di futuro pur non essendo formalmente candidate. D’altronde proprio in Emilia Romagna, in funzione anti-Salvini, questo movimento è nato e si è affermato, tanto da diventare uno dei fenomeni politici più discussi degli ultimi anni. L’eventuale vittoria di Bonaccini ne rafforzerebbe evidentemente il ruolo sul palcoscenico nazionale, in vista della discesa ufficiale in politica che potrebbe essere in forma autonoma oppure anche, come dice qualcuno, nelle fila del Pd o del nuovo partito che potrebbe nascere dal prossimo congresso dem. Se però a vincere dovesse essere Borgonzoni, le Sardine inevitabilmente risulterebbero fortemente ridimensionate.

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