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Con la proposta regionale di referendum abrogativo per trasformare il “Rosatellum” in un sistema tutto maggioritario, si torna a parlare di legge elettorale. Croce e delizia dei partiti e degli elettori.

Ma la legge elettorale serve per scegliere chi governa? No, perché l’Italia è una Repubblica parlamentare. Cioè il popolo elegge il Parlamento; poi il Presidente della repubblica nomina un governo che deve avere la fiducia del Parlamento (art. 92 e 94 Cost.).

Allora perché ci si lamenta che le elezioni del 4 marzo hanno eletto un Parlamento ingovernabile? Perché dal 1993 ci eravamo abituati ad avere sistemi elettorali che favoriscono la governabilità.

Dopo la caduta del Fascismo, i partiti del Cln avevano scelto un sistema modello proporzionale semplice, fin dalle elezioni della Assemblea costituente. Un modello che portava in Parlamento uno specchio fedele del Paese; ma che comportava sempre governi di coalizione. Poi dal 1993 si è passati al cosiddetto Mattarellum: un sistema per 2/3 maggioritario che ha favorito le aggregazioni e ha portato a un sostanziale bipolarismo di coalizione, addirittura indicando in scheda il nominativo del candidato presidente del Consiglio.

Così, la sera delle elezioni si sapeva chi aveva vinto, anche se – essendo comunque rimasti in un sistema parlamentare – non era escluso che si formassero governi differenti in corso di legislatura (la caduta del Berlusconi I nel 1994 e la formazione del governo Dini ne sono esempio lampante).

Poi nel 2005, sulla spinta del centrodestra, si è tornati a un proporzionale semplice, ma con la forte correzione di soglia di sbarramento e premio di maggioranza (oltre alle liste bloccate: cosiddetto Porcellum). Un premio di maggioranza secco al primo partito o coalizione, pur diverso alla Camera (su base nazionale), rispetto al Senato (su base regionale). Così la sera delle elezioni sapevamo chi aveva vinto, ma con governi in difficoltà al Senato (basti per tutti ricordare Prodi II nel 1996 e Bersani nel 2013 che addirittura il governo non è riuscito a formarlo).

Ma è emerso un significativo problema di costituzionalità quando ci si è accorti che il premio di maggioranza serviva sì a garantire la governabilità, ma favorendo eccessivamente il partito vincitore delle elezioni: il caso è emblematicamente ancora quello del Pd nel 2013 che con il 25% dei voti si è trovato ad ottenere il 54% dei seggi alla Camera. Uno svilimento palese della uguaglianza del voto, tanto da portare la Corte costituzionale a pronunciarsi duramente nel senso della illegittimità del modello (sent. n. 1 del 2014).

Poi faticosamente è stato approvato l’Italicum. Mai utilizzato, ma subito dichiarato incostituzionale per il premio di maggioranza comunque eccessivo, anche se con il doppio turno di ballottaggio (sent. n. 35 del 2017).

E così siamo arrivati a votare con il Rosatellum: che è un sistema per 2/3 proporzionale e per 1/3 maggioritario, che comunque porta a risultati elettorali frastagliati, in un Paese politicamente frastagliato.

La fatica con cui si sono formati i governi Conte I e II ne sono esempio emblematico.

Così, ad oggi, in molti ritengono urgente che questa legge elettorale venga modificata. Ma come modificarla?

Sappiamo che i sistemi elettorali sono praticamente infiniti. Solo in Italia ne utilizziamo una decina (europee, regionali, comunali e così via hanno tutte sistemi elettorali diversi) e nel mondo se ne conoscono centinaia.

Per avere un sistema elettorale che porti alla governabilità non serve lavorare di grande fantasia. È più semplice tornare al Mattarellum.

Sistema per gran parte maggioritario che sicuramente favorirebbe il bipolarismo e l’individuazione di chi va al governo la sera stessa delle elezioni. Altrimenti, forse è meglio un proporzionale semplice, al limite con un piccolo premio di governabilità, per rispecchiare il nostro intrinseco pluralismo.

Breve guida alla riforma della legge elettorale. La versione di Celotto

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