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La nuova vita di Tim è iniziata. Senza la rete, venduta alla cordata Kkr-Tesoro, il gruppo telefonico guidato da Pietro Labriola, architetto dell’operazione, è senza dubbio più agile nella sua corsa alla competitività in un mercato, quello delle telecomunicazioni, tra i più saturi del mondo. A inizio mese Tim ha perfezionato la cessione dell’infrastruttura di rete fissa e delle attività wholesale al consorzio che fa capo al fondo americano Kkr a un valore di 18,8 miliardi di euro (che possono salire a 22 miliardi al verificarsi di alcune condizioni).

Tim con quest’operazione riduce il proprio indebitamento finanziario netto di 13,8 miliardi di euro. Ulteriori dettagli sulla cessione della rete arriveranno in occasione della conference call di presentazione dei risultati preliminari del secondo trimestre 2024, in agenda il prossimo 1 agosto. Ora, ci sono due indicatori che certificano l’apprezzamento del mercato per la chiusura di una partita che ha visto l’ex monopolista impegnato per lunghi mesi.

Primo, S&P (dopo Moody’s, che si era mossa in anticipo un mese fa, prima della chiusura della cessione della rete) ha alzato il rating del gruppo telefonico di due gradini a BB dal precedente B+. L’outlook resta stabile. “Riteniamo”, ha spiegato l’agenzia di rating, “che Tim manterrà il suo forte posizionamento sul mercato domestico e in Brasile” e che la società utilizzerà i proventi della cessione “per gestire la struttura del suo capitale ad alta leva finanziaria” e “mirare a mantenere una leva finanziaria moderata”. Da qui la scelta di Standard & Poor’s di alzare “il rating creditizio dell’emittente a lungo termine su Tim così come quello sul debito senior non garantito del gruppo a BB da B+.

L’altro segnale è la Borsa. Nell’ultimo mese il titolo Telecom ha guadagnato oltre il 3,4%, sintomo di un mercato che attendeva con ansia l’operazione con il fondo americano. Tra le sfide dei prossimi mesi, vi è il potenziale earn-out legato all’aggregazione tra Netco e Open Fiber, la vendita di Sparkle e della quota residua in Inwit e la restituzione del canone di concessione. Un nodo cruciale rimane quello dell’azionariato, con Vivendi che sembra intenzionata a trovare il modo migliore per uscire dall’investimento. Inoltre, potrebbe essere presa in considerazione la conversione delle azioni di risparmio, operazione complessa a causa del premio attualmente richiesto dai titoli.

La partita più complicata riguarda, infine, le attività le comunicazioni fisse e mobili, dove la pressione sui prezzi continua a ridurre i margini e la redditività. L’ultimo bilancio di Tim indica un calo del fatturato del 4,7% per la divisione consumer (-4,2% quello da servizi), a fronte però della crescita dell’Arpu (ricavi per cliente). Il piano di Labriola prevede un turnaround per arrivare nel 2025 a un fatturato atteso di circa 6,4 miliardi, 1,3 miliardi di margine operativo e investimenti previsti per 900 milioni di euro. I dipendenti scenderanno a 11 mila, dai circa 14 mila attuali.

 

Tim senza la rete piace a mercati e agenzie di rating

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