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Piazze piene, urne piene, ma una crisi di identità non da poco. Questa potrebbe essere la fotografia del centrodestra di opposizione. Certo, la crisi è dell’intero sistema politico italiano e nemmeno le forze al governo possono dire di godere oggi di buona salute. Anzi! Eppure la crisi del centrodestra è qualcosa di logorante: una sorta di potenza impotente, o di impotenza potente se preferite. Un tempo c’era Silvio Berlusconi che riusciva a conciliare l’anima “populista”, ma meglio sarebbe dire popolare, con quella istituzionale, gli umori delle masse e il raffinato liberalismo dei “professori”: bastava una sua parola e tutti si uniformavano, anche quando spiazzava. Oggi c’è Matteo Salvini, che la leadership l’ha conquistata sul campo ma che palesemente, da qualche mese a questa parte, non detta più il gioco: non è più, nonostante il consenso più o meno immutato nel Paese, il protagonista principale del dibattito pubblico.

Sembra anzi un pugile un po’ suonato, che accusa ancora i colpi del ribaltone di agosto. Anzi, più passano i mesi e più sembra in difficoltà. Gioca sicuramente l’offensiva messa in moto dai suoi oppositori, in primo luogo di chi è al governo con l’unico scopo di tenerlo fuori dai giochi di potere che contano, almeno fino all’elezione del prossimo Presidente della Repubblica nell’autunno del 2021. O anche l’offensiva dei magistrati che, come Di Maio e Conte hanno lasciato capire, troveranno sempre una sponda negli ex alleati, i quali con spietato cinismo non si curano proprio del fatto di aver condiviso politicamente col Capitano alcune delle scelte per cui oggi egli è messo sotto accusa.

E che dire poi dell’offensiva mossa a livello europeo contro di lui, che, al contrario di Giorgia Meloni, sullo scacchiere internazionale non ne ha azzeccata una: dall’inaffidabilità trasmessa sia agli Stati Uniti sia alla Russia, all’incapacità di mettersi come una pietra negli ingranaggi di Bruxelles (come ha invece saputo fare Viktòr Orban), fino all’alleanza con Marine Le Pen. Ecco, il rischio di diventare come il Fronte Nazionale Francese, forte nelle urne ma ininfluente nel Paese perché relegato ai margini del gioco politico, per Salvini c’è tutto.

Né ad esso è possibile sfuggire ricalibrando i toni e le politiche: sia perché una certa aggressività verbale è propria dell’uomo, sia perché un cambio troppo repentino di immagine pubblica potrebbe non essere capito da una parte dei suoi elettori. Come uscire dallo stallo e dare una credibile prospettiva politica alla maggioranza degli italiani che di sinistra proprio non sono? Quale sponda “moderata” trovare oggi che Silvio Berlusconi ha una certa età e non sembra tenere a bada i riottosi luogotenenti (soprattutto donne) che ha nel partito? E soprattutto come far sì che il tempo non giochi ulteriormente a suo sfavore, logorandolo e facendolo infelicemente decrescere nel consenso fra gli italiani?

Sembra che il leader della Lega abbia deciso di giocare su due fronti: il primo, quello della possibile “spallata” al governo, che mostra sempre meno coesione al suo interno e nessuna passione politica per quel che fa (o non fa); dall’altra, concependo in maniera meno monocratica il suo potere nella Lega. Se la prima azione avrà successo, lo si vedrà a gennaio: riuscirà il primo Matteo, casomai aiutato dal secondo (anche egli sotto il tiro di fuoco dei magistrati), a realizzare il suo obiettivo e a schivare anche tutti gli ostacoli che durante il mese si porranno lungo la sua strada, ultimo e definitivo quello delle elezioni in Emilia Romagna del 26 gennaio?

Non è dubbio che l’indizione della consultazione popolare sul taglio dei parlamentari lo agevoli moltissimo facendo crescere la tentazione negli attuali deputati di andare subito al voto con le vecchie regole. Incuranti fra l’altro del paradosso che potrebbe crearsi di un parlamento perfettamente legale, ma delegittimato politicamente. La democrazia, intesa come sostanza politica delle scelte che si fanno, è in Italia un optional, e non da oggi. Se poi la Consulta dovesse rendere ammissibile l’altro referendum, quello leghista sul maggioritario, il combinato disposto potrebbe essere incendiario per le sorti non solo della legislatura ma dell’intero sistema politico italiano.

Dall’altro punto di vista, lo spazio dato a persone come Giancarlo Giorgetti, o a idee come quella di un “governissimo” tecnico a guida Mario Draghi appoggiato da tutte le forze politiche con il compito di riscrivere le regole e portare ordinatamente alle urne, sembra tanto impraticabile quanto funzionale a dare un’immagine della Lega come forza dialogante e che comunque antepone il bene del Paese agli interessi particolari. Né dà anche però l’immagine di una forza in affanno, in quanto è palese che essa vuole fare uscire la destra dallo stallo in cui si è cacciata e far sì che i suoi consensi maggioritari non si assottiglino o restino congelati. I giochi, come si vede, sono apertissimi, e non è possibile capire come evolverà la situazione, anche in considerazione delle molteplici variabili sul campo. Quel che è certo è che, se Salvini ha saputo dare un’anima e un’identità alla destra, quella identità oggi è in crisi e mostra tutti i suoi limiti perché è un’identità parziale. Non basta conquistare il consenso, bisogna anche dargli forza e sostanza politica. Il cantiere resta aperto, ma è interesse di tutti, non solo a destra, che sia presto chiuso.

Salvini studia come far uscire il centrodestra dallo stallo. Il commento di Ocone

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