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Qualcosa si muove. La tanto vituperata strategia delle sanzioni sembra iniziare a portare effetti sulla situazione venezuelana. Da mesi ormai il paese sudamericano vive una crisi profondissima causata dalle politiche imposte dal regime chavista. La risposta forte degli Stati Uniti e dei paesi confinanti (anche dell’Europa con la sola, tristissima, eccezione italiana) a sostegno delle forze politiche “legittime” guidate dal presidente dell’assemblea parlamentare, Juan Gaidò è finalizzata al ripristino delle minime condizioni democratiche e di convivenza civile, e senza l’uso della forza.

La novità – rilevantissima, se confermata – è che la delegazione che rappresenta Nicolas Maduro ai colloqui di pace propiziati dalla Norvegia, oggi sospesi, avrebbe accettato di portare il paese a nuove elezioni presidenziali entro un anno, in cambio di alcune condizioni non accettate dagli Stati Uniti. Come ben ricostruito dall’agenzia stampa Nova, a svelare la trattativa è stato il quotidiano statunitense The Washington Post citando “quattro fonti” vicine al dossier. “Il governo aveva accettato ufficialmente di andare alle elezioni, ma in cambio di veder rimosse le elezioni e facendo rimanere al potere Maduro. Questo gli Usa non lo vogliono”, ha detto una delle fonti consultate dalla testata. “Continueremo a negoziare e poi discuteremo se Maduro rimarrà o meno”, ha aggiunto. L’offerta di Washington, sottoscritta dall’opposizione di Juan Guaidò, sarebbe stata accettata da Caracas nei contatti preliminari effettuati a maggio e ribadita ad agosto, poco prima che il governo decidesse di non partecipare a un nuovo round negoziale a Barbados.

Secondo la ricostruzione del “Wp” la delegazione di Maduro avrebbe sollecitato esplicitamente alla casa Bianca di rimuovere le numerose sanzioni imposte da gennaio, prima di accettare un possibile ritorno alle urne. Inoltre, sarebbe stato chiesto di far rimanere Maduro ancora in sella per un periodo compreso tra i nove e i dodici mesi, lo stesso messo in agenda perconvocare nuove presidenziali. Washington avrebbe negato questa eventualità, offrendo in cambio a Maduro le garanzie per poter accedere a un esilio sicuro. Ufficialmente, le forze di governo hanno fatto sapere che l’unica chiamata alle urne possibile è quella per il rinnovo dell’Assemblea nazionale (An), il parlamento controllato dalle opposizioni.

Come detto, i colloqui sono al momento sospesi per decisione dello stesso Maduro come protesta per l’ultima tornata di sanzioni comminate da Washington. Il decreto emesso a inizio agosto disponeva il congelamento di tutti i beni del governo venezuelano negli Usa. “Tutte le proprietà o interessi in proprietà del governo del Venezuela negli Stati Uniti sono bloccate e non possono essere trasferite, esportate, ritirate o gestite in altro modo”, si legge nell’ordine esecutivo. Il provvedimento, inoltre, prevede l’imposizione di sanzioni a stranieri che forniscano supporto, o beni e servizi alle persone o entità colpite da sanzioni Usa.

La misura è l’ultima di una lunga serie di provvedimenti messi in atto dal governo Usa per indebolire il governo di Maduro e favorire il passaggio dei poteri al presidente dell’Assemblea nazionale ed autoproclamato presidente ad interim Guaidò. Le sanzioni hanno colpito sia persone interne alla cerchia di Maduro sia il settore petrolifero venezuelano, da cui dipende la quasi totalità degli introiti statali in Venezuela.

Le sanzioni funzionano: Maduro pronto a cedere. Nuove elezioni in vista in Venezuela?

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