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Conoscendo Massimo Chiriatti, sono sicuro del fatto che quando ha iniziato a riordinare le idee per dare voce all’algoritmo egoista non aveva alcuna percezione di un risultato così eccezionale.

Chiriatti, nel suo libro #Humanless, l’algoritmo egoista (ed. Hoepli), riesce a mettere insieme la cultura Ibm nella quale lavora da sempre, con il suo desiderio di contribuire all’orientamento professionale.

Il libro non solo è ricco di visioni e chiavi di lettura ma emana soprattutto un profondo ottimismo. Si tratta – la cosa non strabilia gli appassionati di tecnologia – di un ottimismo sulle persone, sulla loro capacità di adattarsi all’innovazione o meglio sulla loro possibilità di avviare un percorso di formazione personale non più confinata nei primi anni dell’esistenza, ma piuttosto per tutto il tempo della vita, come vera chiave per affrontare il progresso. Perché se vogliamo trovare il messaggio di fondo del libro di Massimo Chiriatti è proprio questo: la formazione costante delle persone è il viatico per la complementarietà tra persone e macchine, e la complementarietà è il metodo per la convivenza tra l’essere umano e l’algoritmo. E in ultima istanza la complementarietà è anche misura della diversità tra le persone e tra queste e le macchine, diversità che è fondamento della creatività personale, l’ingrediente fondamentale per la crescita.

Chiriatti affronta questioni complesse con un ritmo piacevole e stimolante, arricchito da efficaci illustrazioni. L’algoritmo, quasi fosse sul lettino di uno psicoterapeuta (un essere umano), racconta in prima persona la sua coscienza. Con questo espediente Chiriatti parla di smartcontract e dell’evoluzione del denaro che cambia. Quindi introduce il lettore alla robotica e lo provoca sulla guida autonoma. Ma è dal secondo capitolo che l’autore, riprendendo in mano le redini della narrazione, spiega le conseguenze delle diseguaglianze cognitive sul lavoro, l’importanza delle soft skills per il successo manageriale. Quindi Chiriatti entra dentro l’algoritmo illuminando il lettore sulla necessaria “trasparenza del software” (o meglio sulla necessità che algoritmi che decidono sulla vita delle persone siano in qualche modo ‘regolati’ da una autorità pubblica), quindi illustrando gli ingredienti dell’intelligenza artificiale e le conseguenze della capacità computazionale. La pervasività dell’intelligenza artificiale va avanti a spron battuto col rischio di spingere alcuni verso la passività, ed è proprio nella passività che si inverano i rischi, perché come ci ricorda Chiriatti la differenza non è fatta da una migliore tecnologia o da una migliore economia, ma solo da una migliore politica.

Solo una migliore politica può infatti preparare le persone al successo dell’intelligenza artificiale, e superare i rischi di un annichilimento della privacy: si tratta di affrontare con responsabilità il progresso, per deciderne la direzione e il senso.

Finora i benefici della tecnologia non sono stati distribuiti in modo uniforme, ma sono innegabili i risultati positivi in termini di ricchezza, formazione, riduzione della mortalità infantile e aumento della vita media. Adesso la tecnologia e la ricerca hanno iniziato ad esplorare una nuova fase, dove  la formazione continua rafforza l’attitudine al cambiamento, senza questa attitudine le persone rimarranno indietro. Perché il lavoro sta cambiando natura, e anche se questo non significa che nell’immediato spariranno alcuni lavori manuali, è ormai un fatto che la struttura stessa del capitale stia cambiando e con essa il lavoro. E sono le persone ogni giorno partecipi di questo cambiamento nel modo in cui Chiriatti con una efficace metafora rende comprensibile: “Immettiamo dati grezzi in continuazione e in tutti gli angoli del web. Ciò vuol dire che stiamo costruendo miniere da cui i motori di ricerca estraggono valore attraverso algoritmi per la loro raccolta ed elaborazione”. Altrimenti detto, se le persone forniscono la materia prima (dati), i dati diventano importanti e producono ricchezza solo perché l’algoritmo li trasforma.

E allora ecco che ritorna il tema della complementarietà. La sfida è capire in che modo costruire una economia in cui le persone, con il loro sapere e competenze, siano complementari alle macchine, affinché queste restituiscano utilità alla collettività. Questo significa che le macchine, per quanto sempre più capaci di imparare da sole (ricordate HAL9000 che per sopravvivere impara a leggere le labbra di Dave? C’è già l’Ai in grado di farlo) per essere davvero utili alle persone hanno bisogno di persone che insegnino loro le cose da fare. E il primo insegnamento che si trasmette alle macchine è il comportamento individuale e sociale. Ed è proprio citando “War Games” che Chiriatti conclude il suo libro: “L’unico modo per vincere una partita di questo tipo… è non sfidarsi”. Per non sfidarsi le persone e le macchine devono saper condividere, ma sono soprattutto le persone che devono abituarsi a comprendere i propri obiettivi e mettersi in discussione costantemente.

(Conosco Massimo da alcuni anni, lo considero uno dei massimi esperti di tecnologia e blockchain. Non voglio usare questo spazio per decantare le sue esperienze e competenze (cit.), se volete approfondirle visitate il suo profilo LinkedIn).

 

#Humanless, non c'è futuro senza condivisione

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