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Doveva essere un incontro per approfondire aspetti generali, nell’ambito dell’ampia indagine conoscitiva “sulla transizione verso il 5G” che la commissione Trasporti della Camera sta conducendo. Si è trasformato, invece, in una serie di domande alle quali i vertici di Huawei Italia hanno risposto – stando alle opinioni di diversi parlamentari che vi hanno preso parte – in modo poco soddisfacente, soprattutto rispetto ai dubbi sui legami con il governo di Pechino e sugli obblighi imposti dalla legge nazionale sull’intelligence che impone alle aziende cinesi a collaborare con la madrepatria (una regola che a detta della telco varrebbe solo in Cina).

LE PAROLE DI HUAWEI

In apertura la riunione ha visto avvicendarsi, per la tradizionale relazione introduttiva, Giuseppe Pignari, responsabile Tecnologia e sicurezza di Huawei e il presidente del colosso di Shenzhen in Italia, Luigi de Vecchis.
I due hanno presentato l’azienda, i suoi investimenti odierni e futuri nel Paese e i suoi progetti (centri di ricerca e collaborazioni con università), concentrandosi poi sull’evoluzione delle nuove reti mobili ultraveloci di quinta generazione e sulla non convenienza, a detta del gigante delle telco, dello sganciarsi dalla sua tecnologia (come invece vorrebbe Washington).
Per la compagnia cinese, che si è definita un vendor con nessun legame col governo di Pechino, la questione sicurezza dei suoi apparati – sulla quale si gioca lo scontro globale tra Stati Uniti e Cina – va affrontata agendo con controlli (che non siano caratterizzati da atteggiamenti discriminatori) e controllando al meglio la filiera dei fornitori di ogni singolo apparato.

I DUBBI SOLLEVATI

Parole che non hanno convinto pienamente i deputati intervenuti che, anzi, nella fase di domande che ha seguito le relazioni, hanno invece posto diversi quesiti, a cominciare dal presidente della Commissione Trasporti della Camera dei Deputati, Alessandro Morelli, che ha affermato come, nonostante la firma del Memorandum sulla Via della seta e la sfida parlamentare sull’ottenere il tribunale dei brevetti, in Italia Huawei abbia stanziato un investimento molto scarso (54 milioni di euro) per la ricerca e sviluppo, mentre sarebbe stato lecito attendersi di più.
Federica Zanella (Forza Italia) ha chiesto come Huawei intendesse garantire la non esistenza di backdoor sui suoi prodotti, un tema riemerso poco tempo fa sui media dopo il caso sollevato da Bloomberg.
La posizione di Huawei sulla normativa Golden Power, definita “discriminatoria” dalla società, è stata invece al centro della domanda del deputato leghista Massimiliano Capitanio, che ha chiesto chiarimenti in merito (secondo il colosso di Shenzhen, le opere di notifica e di risposta richiederebbero tempistiche tali per cui un operatore potrebbe ragionevolmente decidere di affidarsi ad un altro fornitore).
Le critiche più forti sono però state espresse da Federico Mollicone (Fratelli d’Italia). “Huawei in Europa”, ha detto l’esponente del partito guidato da Giorgia Meloni, “deve chiarire i rapporti con la casa madre, specificando inoltre se i rami nazionali della società sono nel perimetro di applicazione della legge nazionale sull’intelligence del 2017 che impone alle aziende cinesi di condividere le informazioni in loro possesso con il governo della Repubblica Popolare Cinese”. La risposta data “alla nostra domanda”, ha aggiunto, “riteniamo sia stata elusiva. La sicurezza nazionale e la privacy degli utenti sono beni inalienabili, da tutelare”.

Huawei, tutti i dubbi della Camera su sicurezza e investimenti in Italia

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