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Aumentare i meccanismi di controllo sulla Difesa europea, e in particolare sull’erogazione dei nuovi fondi di Bruxelles, per arginare le ambizioni francesi e rispondere alle preoccupazioni che esse hanno generato. La proposta arriva da Carnegie Europe, il centro di Bruxelles dell’autorevole Carnegie Endowment for International Peace, uno dei più antichi think tank statunitensi di studi internazionali. A firmarla è la visiting researcher Raluca Csernatoni, che spiega “The democratic challenge of Eu defense policy” a partire da una consapevolezza: “la nuova Commissione europea ha piani così grandi e ambizioni per la politica di difesa e sicurezza da sfidare il ruolo che gli Stati membri hanno tradizionalmente svolto in questo campo”.

L’AVVIO DELLA DIFESA COMUNE

La strada è segnata da tempo. Una decina di giorni fa il Consiglio dell’Unione europea ha adottato tredici nuovi progetti della cooperazione strutturata permanente, da aggiungere ai 34 già lanciati lo scorso anno. Oggi nel Golfo di Taranto si chiude la prima dimostrazione di Ocean2020, il primo programma (guidato da Leonardo) finanziato dall’Azione preparatoria per la ricerca nel campo della difesa (Padr), l’embrione del Fondo europeo (Edf) che dal 2021 sarà dotato di 13 miliardi per i successivi sette anni. La strada è segnata e Bruxelles la percorre con convinzione. Da ministro della Difesa tedesco, la presidente Ursula von der Leyen è stata tra i promotori delle molteplici iniziative, e nella sua Commissione è arrivata l’attesa nuova Direzione generale per Difesa, Industria e Spazio. Alle dipendenze del commissario al Mercato interno designato (il francese Thierry Breton), gestirà i nuovi finanziamenti su un regolamento frutto di anni di negoziati tra istituzioni europee, Stati e protagonisti della difesa del Vecchio continente.

UNA “BIG DEMOCRATIC QUESTION”

Il piatto è ricco. Mai prima d’ora l’Ue ha destinato risorse specifiche alla difesa, tra l’altro con l’intenzione di spingere lo sviluppo e l’integrazione industriale portando i singoli Stati membri ad aumentare i propri investimenti (i fondi di Bruxelles saranno erogati per lo più con la formula del co-finanziamento). Non a caso, i grandi Paesi europei hanno già dimostrato attivismo in ogni sede. Integrare i comparti industriali, ridurre le sovrapposizioni e promuovere assetti comuni significa anche razionalizzare. È qui che Carnegie Europe individua la “big democracy question”. Difatti, spiega la ricercatrice Csernatoni, “l’accresciuto potere della Commissione sui temi della difesa alimenta interrogativi sulla trasparenza di come le decisioni vengono prese”.

L’AMBIZIONE FRANCESE

Il timore è che possano farla da padrone i Paesi che hanno maggior peso negoziale con i propri funzionari nella caselle giuste. “Si prevede che beneficeranno di più dell’Edf quegli Stati membri dotati di forti industrie nazionali e degli strumenti finanziari adatti a co-finanziare i costosi progetti per le capacità militari”, nota l’esperta. Considerando la guida della nuova Direzione generale e il fatto che rappresenti il maggior player europeo nel settore, “Parigi sembra il maggior vincitore del nuovo interesse dell’Ue nel campo della Difesa”, spiega Csernatoni. Ciò ha già generato “preoccupazioni da parte di diversi Stati membri sulla potenziale influenza della Francia sulla politica di difesa dell’Unione”. D’altra parte, i dubbi sulle intenzioni transalpine sono stati fugati dalla recente e nota intervista di Emmanuel Macron all’Economist, in cui è emersa con chiarezza l’interpretazione che l’Eliseo ha del concetto di “autonomia strategia”, ovvero un’Europa a guida francese.

LA PROPOSTA

È anche per questo che da Carnegie Europe arriva una richiesta: dotare l’Unione di “nuove forme di check and balance, di meccanismi di controllo e di partecipazione significativa dei cittadini europei al processo decisionale”. Certo non sarà facile, soprattutto per un ambito così delicato e complesso come quello della Difesa, tra l’altro legato a interessi e ambiti che ancora appartengono ai singoli Stati. Tuttavia, “trasparenza e legittimazione rappresentano gli strumenti per accelerare l’integrazione dell’Ue nel campo della difesa”. Si tratta di “aprire il dibattito” e di sottoporre i meccanismi decisionali “al controllo parlamentare”. Il rischio altrimenti, almeno secondo Raluca Csernatoni, è dare legittimità a chi vuole “un’Unione europea in crisi”.

Meno Francia e più condivisione. La giusta via per la Difesa Ue secondo Carnegie Europe

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