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C’è un grande varco che si è aperto nella politica estera europea e il presidente francese Emmanuel Macron non ha intenzione di lasciarlo scoperto. Mentre le cancellerie di Roma, Berlino e Londra navigano in alto mare, strattonate e messe in sordina dalle rispettive crisi politiche, la diplomazia d’oltralpe sta cercando di prendere in mano le redini del Vecchio Continente. L’occasione d’oro viene da Mosca. Vladimir Putin ha bisogno di una sponda europea per uscire dall’isolamento diplomatico che affligge il suo Paese da più di cinque anni e l’Eliseo è pronto a dargliela. Dalla riammissione nel G7 alla mediazione per la crisi ucraina, spiega a Formiche.net Ferdinando Nelli Feroci, presidente dello Iai (Istituto affari internazionali), già rappresentante permanente dell’Italia presso l’Ue, l’iniziativa di Macron coglie nel segno ma sbaglia i tempi e i modi. E chiamerà presto in causa il nuovo governo italiano.

Ambasciatore, il presidente francese Emmanuel Macron si propone da tempo come alfiere di una normalizzazione dei rapporti fra Russia e Vecchio Continente. Obiettivo troppo ambizioso?

Macron ha sempre avuto l’ambizione di tenere in mano le redini della politica estera europea. L’iniziativa in sé non è un male. Il grande gelo calato su Europa e Russia negli ultimi anni non era più sostenibile. Sono le premesse e il tempismo a sollevare qualche dubbio.

Cioè?

Macron si è mosso approfittando di una fase di transizione che riguarda l’Europa intera, in cui mancano centri di responsabilità da cui parta un’iniziativa politica forte. Non solo Bruxelles, anche Berlino, Roma e Londra sono deboli in questo momento.

Perché Berlino è fuori dai giochi?

La Germania attraversa una fase di grande difficoltà. L’economia è in piena stagnazione, la locomotiva tedesca non riparte e la parabola politica discendente di Angela Merkel è iniziata. Lo dimostra la debolezza mostrata dai partiti al governo, Csu, Cdu e Spd, in ogni occasione elettorale dell’ultimo anno e mezzo. Nel voto dei Lander, specialmente nell’ultima elezione in Sassonia e Brandeburgo, si è registrata una crescita preoccupante dell’estrema destra di AfD (Alternative für Deutschland).

Anche la debolezza di Downing Street fa il gioco di Macron?

Il Regno Unito è in preda a convulsioni inattese e impreviste. Lo scontro permanente in Parlamento e la rocambolesca vicenda della Brexit hanno messo in sordina la voce di Londra in Europa. La più antica e consolidata democrazia occidentale oggi non è in grado di giocare alcun ruolo nella diplomazia europea.

Le premesse per riallacciare il legame con Mosca ci sono?

Per il momento non c’è nulla che giustifichi una normalizzazione del rapporto con la Russia. Finché non ci saranno gesti concreti da parte di Putin e del suo governo sulle questioni in sospeso che da anni vedono Mosca isolata parlare di disgelo è velleitario.

E con Teheran? Macron vuole facilitare un nuovo accordo sul nucleare. È una buona notizia per l’Europa?

La posizione dell’Ue sull’Iran è molto chiara. Tutti i Paesi membri hanno sostenuto compatti l’accordo sul nucleare (Jcpoa, ndr). Un accordo certo non perfetto ma comunque meritevole di essere difeso. Su questo la nostra posizione era e rimane distante da quella americana.

Un incontro fra Trump e Rouhani è auspicabile o si risolverebbe in una semplice photo opportunity?

È interesse non solo europeo ma della stabilità nell’intera regione che si rimetta in moto un dialogo fra Teheran e Washington. L’avvio di un nuovo negoziato deve essere accompagnato da una certa prudenza.

Torniamo a Mosca. A sollevare dubbi sulla repentina apertura di Macron a Putin ci sono anche questioni di politica interna russa. Le proteste pacifiche represse a suon di centinaia di arresti nelle scorse settimane, ad esempio.

Quello di Putin non è certo il modello di democrazia cui fa riferimento l’Occidente. Le continue violazioni dei diritti civili e delle libertà fondamentali non sono compatibili con la nostra idea di stato di diritto. È una constatazione di fatto che però non costituirà un ostacolo insormontabile. L’Europa ha interesse a riposizionare la Russia nello scacchiere internazionale. Non lo farà da un giorno all’altro. Non a caso al G7 di Biarritz solo Trump ha davvero abbracciato l’ipotesi di un ritorno della Russia nel consesso. Gli altri leader sono stati estremamente prudenti.

Anche Giuseppe Conte ha dato il suo assenso alla proposta, pur essendo un presidente del Consiglio in carica per gli affari correnti.

Conte non ha avanzato una vera proposta. Ha manifestato un sostegno di principio verso il ritorno della Russia nel formato G8. Se come sembra sarà nominato di nuovo presidente del Consiglio la linea di apertura nei confronti della Russia sarà confermata.

C’è da rimettere mano alla politica estera gialloverde?

Due sono le questioni fondamentali. La priorità è tornare protagonisti in Europa con un atteggiamento meno antagonista verso l’Ue e le sue istituzioni, possibilmente scegliendo le giuste alleanze a Strasburgo.

La seconda?

Mettere da parte l’imprevedibilità e l’erraticità della politica estera italiana registratasi nell’ultimo anno. Per farlo serve ripartire dai pilastri che da sempre sorreggono la nostra azione diplomatica: Ue, Nato, Onu. Senza mai rinunciare al nostro ruolo nel Mediterraneo e nelle aree di crisi ai confini europei che possono costituire una potenziale minaccia.

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