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Si contano sulla punta delle dita le donne generale nel nostro Paese, e per poterne trovare qualcuna in più si dovrà attendere intorno al 2030. Però a venti anni dall’apertura del servizio attivo per loro nelle Forze armate si dirigono spedite (regole permettendo) verso i vertici. Certamente, secondo Elisabetta Trenta, già ministro della Difesa, “bisogna continuare a cambiare una cultura che si nutre ancora di pregiudizi e stereotipi che vedono nella forza fisica dell’uomo il requisito più importante per essere un bravo militare”. Le parole dell’ex numero uno di Palazzo Baracchini giungono in un giorno particolare: la festa delle Forze armate.

Le donne in servizio attivo nelle Forze armate nel mondo iniziano ad essere introdotte negli anni ’70. L’Italia arriva per ultima nel 1999. Ha pesato questo ritardo secondo lei?

In Italia il servizio militare volontario femminile è stato introdotto con la legge n. 380/1999, un atto che ha segnato profondamente il mondo militare degli ultimi 20 anni e ha fatto in modo che le Forze armate siano oggi uno strumento professionale, più ridotto, pienamente interforze e interoperabile in ambito multinazionale ed efficacemente impiegabile a sostegno delle iniziative del Paese nell’ambito della Comunità internazionale per la stabilità, la sicurezza e la pace. L’ingresso delle donne nelle Forze Armate ha portato tantissimi benefici al settore: devo dire che, anche se siamo arrivati più tardi degli altri Paesi Nato, le Forze Armate nell’ambito dell’amministrazione pubblica costituiscono oggi un esempio di “emancipazione” intesa come parità di trattamento sul lavoro e di accesso alle posizioni.

Ci sono differenze tra uomini e donne nelle Forze armate?

Ai fini del reclutamento, non esistono percorsi differenziati di selezione se non per quanto attiene le prestazioni richieste per agilità, forza e resistenza che prevedono, in alcuni concorsi, parametri diversi tra uomini e donne.
Allo stesso modo, non ci sono differenze per quanto riguarda l’addestramento della componente femminile e degli incarichi da ricoprire nel corso della carriera: il personale militare femminile, infatti, assolve oggi tutti gli incarichi, sia sul territorio nazionale sia internazionale, nei diversi corpi militari e specialità, senza particolari differenziazioni. Certo, se nella piccola Slovenia, per la prima volta nella Nato, Alenka Ermenc, una donna di 55 anni, è diventata capo dell’Esercito, da noi occorreranno ancora diversi anni prima che una donna diventi generale.

Oggi su 16mila donne soltanto un migliaio ha raggiunto il grado di ufficiale, e meno di 10 quello di generale.

È vero, la prima donna colonnello la avremo solo nel 2022; oggi ci sono solo alcune donne generali dei Carabinieri che provenivano dalla Forestale e la prima in assoluto, era transitata nei Carabinieri dalla Polizia di Stato, mantenendo il suo rango. La prima donna generale, tra gli ufficiali donna reclutati nell’anno 2000, dovrebbe essere promossa non prima del 2029/2030.
Sarà un bel momento quello in cui una donna raggiungerà i vertici delle Forze armate perché potranno cambiare definitivamente alcune prospettive.
Infatti, sebbene siano stati fatti tantissimi passi avanti, non tutto è facile per le donne!

Tra l’altro, in alcuni teatri operativi dove è richiesto il confronto con popolazioni locali, avere delle donne nelle Forze armate può dare dei vantaggi.

La partecipazione del personale femminile nelle operazioni, all’estero così come sul territorio nazionale, si è sviluppata in analogia e con le stesse prerogative dei colleghi uomini e le varie unità vengono immesse in teatro operativo con la propria forza organica che è composta di personale di entrambe i generi e che, in teoria, potrebbe essere anche composta di sole donne.
Le donne hanno portato dei vantaggi nelle missioni. Infatti nei processi di pacificazione il coinvolgimento attivo della popolazione femminile è indispensabile per la risoluzione del conflitto. Inoltre le donne militari sono di grandissimo aiuto in quelle attività per le quali è necessario avvicinare il mondo femminile nei territori a cultura islamica. Parlo, per esempio, dei check-point quando è necessario perquisire le donne, dell’attività medica e infermieristica nei confronti popolazione femminile locale, o – anche – della conduzione di progetti di Cooperazione civile e militare in ambienti riservati normalmente alla popolazione locale femminile.
Oltre a questo valore aggiunto, le donne militari impegnate nelle missioni di pace costituiscono anche un modello d’ispirazione e incoraggiamento per donne e ragazze delle comunità locali, dimostrando loro che è possibile, per il genere femminile, fare qualsiasi cosa in qualsiasi settore (politica, sicurezza, giustizia, medicina, giornalismo) diventando protagoniste delle loro esistenze.

Un esempio di potere delle donne all’interno delle Forze armate all’estero è dato da fatto che l’hub Nato di Napoli fino al 2017 era guidato da una donna.

Certo, parliamo di Michelle Howard, una grande donna, la prima negli Usa a essere arrivata al grado di ammiraglio a 4 stelle, nel 2014, quando diventò vice comandante delle operazioni navali. Nel 2016 fu poi nominata dal presidente Obama capo delle forze operative per Europa e Africa. Era la prima volta per una donna. Ha chiuso la sua carriera a capo dell’Allied Joint Force Command di Napoli.

In Italia nei reparti speciali non sono state ancora introdotte donne.

Non è esatto dire così. Teoricamente le donne potrebbero entrare nelle Forze speciali, ma sia i corsi sia l’addestramento richiedono una forza fisica straordinaria e di fatto questo, fino ad ora, ha impedito alle donne di entrarvi. Ma non è detto che non succeda in futuro. Però ci sono donne sommergibiliste (all’inizio ci fu molta resistenza perché occorreva adeguare anche i sommergibili) e ci sono tante donne paracadutiste. Anzi, mi fa piacere ricordare che nel primo anno di addestramento, in percentuale, è maggiore il numero di uomini che demorde, questo perché la motivazione delle donne è altissima.

Condivide le regole per le donne-militari nei concorsi?

Una delle questioni che mi è stata posta durante i 14 mesi in cui ero ministro è stata quella del test di gravidanza richiesto alle donne militari per i concorsi: secondo alcuni si tratta di una protezione per le donne e il bambino. Da un certo punto di vista posso capire questa visione, ma se gestita male questa norma può diventare invece un limite alla carriera delle donne o al loro diritto ad essere madri. Mi ero attivata subito in merito chiedendo all’ufficio legislativo del gabinetto di rivedere il decreto attuativo del Testo unico in materia di ordinamento militare che conteneva la norma in questione e che era stato firmato dall’ex ministro Roberta Pinotti. Avevo chiesto di modificare la normativa per permettere alle donne in gravidanza di partecipare ai concorsi e svolgere poi in un secondo momento le eventuali prove fisiche previste.

Dai membri delle Forze armate alla governance delle Forze armate. Vi è una tendenza ormai dagli anni ’90 ad oggi in Europa, ad affidare a volti femminili il dicastero della Difesa. Come lei sa bene, essendo stata una delle due donne ministro della Difesa in Italia, fino a poco tempo fa c’erano contemporaneamente donne alla guida della Difesa in 8 Paesi europei. Quali sono i pro di questa tendenza?

Credo che in generale le donne siano più concrete degli uomini e guardino di più ai risultati e questo sarebbe positivo in qualsiasi ambito in cui una donna arrivasse al vertice. Le donne, inoltre, sono anche “madri”, anche quelle come me che non hanno figli. Siamo noi che pensiamo al mantenimento della specie e per questo le donne, disponibili a fare la guerra e a combattere per proteggere i figli, sono anche quelle che capiscono di più quanto sia importante il mantenimento della pace, esattamente per lo stesso motivo. Inoltre, ci dicono sempre che siamo multitasking. È vero, siamo naturalmente inclini e capaci di fare più cose allo stesso tempo. Una caratteristica che definirei indispensabile in un ministero, quello della Difesa, che è complesso quasi quanto un piccolo Stato, se si considerano i tantissimi aspetti che devono essere curati.

Qual è un auspicio per il futuro delle donne nelle Forze armate del nostro Paese?

Credo che, nonostante l’apparenza, le donne militari abbiano ancora bisogno di tutela, soprattutto per assicurare che i processi di carriera non siano impediti dal diritto delle donne di essere anche madri.
In generale, le donne hanno bisogno di maggiori supporti alla vita familiare, degli asili in caserma per i loro bambini o di interventi normativi per consentire ai mariti di essere più vicini ai figli quando le mogli sono in missione.
Le donne militari spesso non denunciano, ma ci sono casi di attenzioni sessuali non volute o offensive, ancora più gravi quando provengono da superiori. Bisogna continuare a cambiare una cultura che si nutre ancora di pregiudizi e stereotipi che vedono nella forza fisica dell’uomo il requisito più importante per essere un bravo militare. Non è così e i nostri soldati, avieri e marinai di sesso femminile ce lo dimostrano ogni giorno! Grazie a tutte loro!

Una festa nella festa. Donne e Forze armate secondo Elisabetta Trenta

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