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La #crisidigoverno a cui stiamo assistendo non è solo il segno del fallimento dei 14 mesi dell’esperienza di governo di due forze politiche (#M5S e #Lega) presentatesi separate (ed anzi, opposte) alle ultime elezioni e poi riunite sotto l’egida di un contratto che, più che il frutto di una sintesi politica, si è rivelato piuttosto un patto di non belligeranza teso esclusivamente all’egoistico perseguimento da parte di ciascuna parte politica coinvolta dei propri tornaconti elettorali.

Si trattasse solo di questo basterebbe tornare alla normalità formando un nuovo governo ricercando una maggioranza in Parlamento o restituendo la parola agli elettori. Cambierebbe forse il colore dell’esecutivo, ma dal punto di vista istituzionale non farebbe granché differenza.

Non è però purtroppo così. Questa volta, a mostrare i segni di un logoramento durato ormai oltre venti anni, sono quei meccanismi istituzionali che sono alla base del processo democratico, attraverso i quali dovrebbe realizzarsi la sintesi degli interessi in gioco alla base dell’azione di governo.

Un’azione, quest’ultima, che per essere realtemente efficace ed in linea con gli interessi dei cittadini, non può rinunciare a quei pesi e contrappesi tipici dei sistemi democratici di stampo liberale. Né, tantomeno, rinunciare al contributo fondamentale offerto dai poteri neutrali (siano questi la Corte dei Conti, la Ragioneria dello Stato, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio e così via) preposti alla tutela delle garanzie obiettive offerte dall’ordinamento in funzione di contrappeso al potere politico. Garanzie obiettive queste ultime attraverso cui, oltre che mediante il voto degli elettori, si esercita e si garantisce la sovranità popolare in rapporto ai pubblici poteri.

Il Premier #Conte ha rimproverato a #Salvini la sua scarsa cultura istituzionale. Ma v’è da chiedersi se il medesimo rimprovero non debba essere esteso allo stesso #M5S, promotore da ultimo di un provvedimento sul taglio dei parlamentari che sarà forse elettoralmente appagante ma non altrettanto dal punto di vista del funzionamento dei processi decisionali pubblici e della loro efficienza rispetto alla loro capacita di garantire esiti rispondenti alle preferenze della collettività (che, per inciso, non corrisponde solo agli elettori). Per non parlare del #PD, in passato fautore di un progetto di riforma costituzionale ispirato dal medesimo approccio populista (si pensi al noto proposito di abolire il #CNEL e le #Province, pur senza porsi il problema delle conseguenze sul piano istituzionale) di cui è affetto il provvedimento oggi proposto dal #M5S. E che dire di #FI, a cui va il (de)merito di aver dato il via a questa negativa stagione di delegittimazione delle istituzioni, i cui esiti negativi sono andati forse ben oltre le sue iniziali intenzioni.

Potrebbe sembrare di primo acchito un discorso astratto, da giuristi e addetti ai lavori. Non lo è affatto, perché del corretto funzionamento dei processi decisionali pubblici dovremmo preoccuparci tutti. Questo si che è un tema che – a differenza dello storytelling sovranista – attiene all’esercizio della sovranità popolare, all’ampiezza degli spazi concessi alla libera iniziativa individuale e alla società civile e, visto che (amesso che si faccia) il Governo giallo-rosso dovrebbe nascere per disinnescare le clausole di salvaguardia e fare la legge di bilancio, alla tutela degli interessi finanziari della collettività che, visto lo stato dei nostri conti pubblici, dovrebbe starci molto a cuore.

 

 

 

La crisi non è solo (della) politica. Sono i meccanismi istituzionali ad essere in crisi

La #crisidigoverno a cui stiamo assistendo non è solo il segno del fallimento dei 14 mesi dell’esperienza di governo di due forze politiche (#M5S e #Lega) presentatesi separate (ed anzi, opposte) alle ultime elezioni e poi riunite sotto l’egida di un contratto che, più che il frutto di una sintesi politica, si è rivelato piuttosto un patto di non belligeranza…

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