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In un governo che vede all’interno della maggioranza posizioni e progetti contrapposti su diversi temi, non ultimi quelli relativi alla sicurezza  dello spazio cibernetico, il 5G e il ruolo di colossi cinesi come Huawei è uno dei più rilevanti. In questo frangente la Lega di Matteo Salvini si pone da qualche tempo come argine rispetto a un possibile ruolo di aziende della Repubblica Popolare nell’implementazione delle nuove reti mobili ultraveloci, in sintonia con quanto auspicato da Washington, che considera le tech cinesi un possibile mezzo di spionaggio a beneficio di Pechino.

A chiarire ulteriormente la posizione del Carroccio, già esplicitata nei giorni scorsi in un convegno da Salvini e dal deputato Massimo Capitanio su queste colonne, è oggi in una intervista alla Stampa Alessandro Morelli, responsabile Telecomunicazioni della Lega e presidente della Commissione Trasporti della Camera.
LE PAROLE DI MORELLI
Segnalando una distanza con la linea pentastellata, Morelli rivendica: “Chi ha lanciato il Golden Power? Chi ha fatto partire l’indagine conoscitiva sul 5G? (…) Tutto la Lega”.
La questione, aggiunge il deputato, spiegandone le ragioni, non è solo di business: “La Cina dà alla propria intelligence la possibilità di interrogare le aziende su temi che non sono strettamente commerciali”.
Perciò, rimarca il parlamentare, “abbiamo insistito sul Golden Power (soprattutto il sottosegretario alla presidenza del
consiglio Giancarlo Giorgetti, rimarca) anche se ai cinesi non piace. (…) Non siamo contro Huawei ma tutte le aziende devono essere trasparenti e se non hanno tecnologie aperte quanto meno devono metterle a disposizione delle nostre strutture di sicurezza, in modo che ci sia l’assoluta certezza che i dati non siano veicolabili per interessi non pubblici”. Poi la stoccata a Di Maio: “Non si ha contezza di quel che sta facendo”, come ministro competente, sul 5G.
L’ALT DI SALVINI
Pochi giorni fa, intervenendo davanti ai massimi responsabili della sicurezza nazionale in un convegno organizzato a Roma dall’associazione Fino a prova contraria, lo stesso Salvini aveva spiegato che il decreto che rafforza il Golden power anche per le reti sarà convertito e diventerà legge.
La comunità di esperti e addetti ai lavori della sicurezza, aveva ricostruito Formiche.net nei giorni scorsi, si era particolarmente allarmata quando, durante la prima seduta in Senato per la conversione del decreto che interviene modificando alcuni aspetti tecnici del Golden Power per il 5G (ma non solo), il pentastellato sottosegretario alla presidenza del Consiglio Vincenzo Santangelo aveva detto che il provvedimento sarebbe stato fatto decadere alla scadenza dei 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ovvero nella prima decade di settembre.
I cambiamenti introdotti dal decreto – che modifica misure di controllo, poteri di veto, obblighi di notifica e di istruttoria – sono infatti considerati cruciali. Ad esempio il testo eleva da 15 a 45 giorni il periodo durante il quale, ai fini dei poteri speciali, il governo può esercitare un eventuale veto o l’imposizione di specifiche prescrizioni o condizioni anche su determinata componentistica. Quindici giorni sono considerati troppo pochi per analizzare qualsivoglia apparato, tanto più in assenza di una struttura nazionale come il Centro di Valutazione e Certificazione Nazionale, il Cvcn, non ancora operativa. E se la conversione del decreto saltasse, è questa la situazione che si dovrebbe fronteggiare.
IL SEGNALE DELLA LEGA
Da qui il segnale lanciato da Salvini e rilanciato oggi da Morelli: la Lega dice no alla possibilità che il Movimento 5 Stelle, fautore di una ‘special relationship’ tra Roma e Pechino, e sempre molto sensibile alle istanze di un colosso cinese come Huawei (che ha pubblicamente criticato il nuovo Golden Power), possa in qualche modo ostacolare l’approvazione del provvedimento. Parole che saranno giunte sicuramente in casa pentastellata ma anche oltreoceano, dove la posizione leghista su questo dossier è certamente molto apprezzata.

5G e golden power. Così la Lega prova ad arginare la passione cinese del M5S

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