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Nicola Zingaretti ha interpretato questi mesi da segretario del Pd con garbo ed equilibrio, merce rara di questi tempi. Proprio per questo ha diritto di ricevere un apprezzamento sincero, poiché buonsenso e moderazione sono comunque risorse importanti per governare i processi politici e gli incarichi istituzionali.

Va però detto con franchezza che sulla vicenda delle dimissioni (annunciate, poi sospese, poi rinviate, poi confermate a mezza bocca e, infine, ufficializzate oggi) della presidente della regione Umbria ha clamorosamente perso un’occasione per esercitare la sua leadership, mostrando il fianco a tutti i suoi critici (fuori e dentro il partito).

Il Pd aveva infatti il dovere di esprimersi in modo chiaro sulla vicenda (cosa che non ha fatto per  settimane), perché altrimenti ne esce un quadro opaco e perfettamente idoneo ad incoraggiare interpretazioni in chiave di puro opportunismo.
Avrebbe potuto scegliere (a Roma come a Perugia) una linea di assoluto garantismo, lasciando la vicenda giudiziaria al suo corso senza parlare di dimissioni della Presidente. Oppure avrebbe potuto sposare un approccio di massimo rigore, valutando opportuno interrompere la vita dell’amministrazione alla luce delle pesanti ipotesi di reato.

Invece ha scelto una condotta “né carne né pesce”, con Roma su una linea a favore delle dimissioni ed i consiglieri regionali che in Umbria hanno votato una mozione che dice il contrario (sabato).
In mezzo c’è la presidente Marini, anch’essa portata a dire cose diverse a seconda del giorno in cui viene intervistata, per poi giungere oggi alla formalizzazione delle dimissioni (in significativo contrasto con tutte le sue dichiarazioni di queste ore). Insomma uno spettacolo piuttosto desolante, non degno di un nuovo corso che dovrebbe portare la sinistra italiana ad essere capace di costruire una credibile alternativa di governo.

La valutazione politica è sempre necessaria di fronte ad inchieste che riguardano esponenti di primo livello delle amministrazioni. Nel caso umbro Zingaretti ha sposato subito la linea delle dimissioni, arrivando a pronunciare (ieri a Mezz’ora in più) parole forti: “nel Pd che ho in mente se qualcuno si vende i concorsi siamo noi a cacciarlo senza aspettare le procure”.
In Umbria però è successo (per troppo tempo) l’esatto contrario. Regalando così a Salvini e Di Maio una prateria di polemiche in cui scorrazzare a piacimento.

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