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I funzionari della Difesa statunitense che hanno parlato con i media americani li chiamano “Halloween missile test“, il lancio di missili di oggi con cui la Corea del Nord ha festeggiato la Notte delle streghe. Dicono che li stavano seguendo da qualche giorno, erano preparati, avevano informazioni di intelligence dettagliate. Due missili a medio-corto raggio sono stati sparati questa mattina (ora locale) dalla provincia di Pyongannam-do, appena a nord della capitale. Hanno volato per oltre trecento chilometri e poi sono precipitati nel Mar del Giappone.

Sono caduti in un tratto di mare incluso nella Zona economica esclusiva giapponese. Una provocazione diretta contro un alleato fondamentale degli Usa nel Pacifico. Arrivata in un tratto di mare che qualche giorno fa è stato sorvolato da due bombardieri strategici americani che si sono incontrati nei cieli per compiere un’esercitazione assieme agli F-15 della Forza d’autodifesa di Tokyo. Gli stessi che ieri hanno ricevuto il via-libera americano all’accordo di implementazione operativa e aggiornamento che potenzierebbe notevolmente l’aeronautica nipponica.

Quello di oggi è stato il primo test effettuato da Kim Jong-un da quando i colloqui tra delegazioni con gli Stati Uniti sono ripresi. All’inizio di ottobre, in mezzo allo stallo dei contatti con Washington, Pyongyang aveva lanciato un missile da una piattaforma sottomarina; il dodicesimo test armato da maggio, dopo che nei mesi precedenti – quelli successivi all’inizio della fase negoziale con Corea del Sud e Stati Uniti – le armi nordcoreane erano state a riposo.

Dopo i negoziati del 5 ottobre a Stoccolma, la Corea del Nord aveva detto di non voler più impegnarsi in “trattative disgustose” con gli Usa, respingendo la richiesta americana di rivedersi a fine mese. Il doppio test di oggi è un messaggio anche in questo senso: sostituisce il contatto diplomatico e intende ricordare agli Stati Uniti la capacità militare raggiunta dal Nord. Secondo il ministro degli Esteri di Pyongyang, Washington dovrebbe fare “un passo sostanziale” verso il “ritiro completo e irreversibile della politica ostile”.

I negoziati tra Stati Uniti e Corea del Nord si sono sostanzialmente bloccati dopo il secondo incontro tra i due leader, da cui Donald Trump si era alzato insoddisfatto. Era febbraio 2019. Poi a fine giugno c’era stata la visita lampo sul 38esimo parallelo, uno show mediatico passato alla storia, ma senza comportare minimi passi avanti. I contatti di inizio mese a Stoccolma dovevano servire alle rispettive delegazioni per riaprire la strada dei colloqui, costruire un terreno comune per un’intesa e favorire un altro eventuale incontro tra Trump e Kim.

Il blocco delle trattative è ancora legato alle diverse concezioni di denuclearizzazione fra le controparti. Gli Stati Uniti vogliono che Pyongyang obliteri il proprio programma nucleare prima di concedere la riqualificazione economica-diplomatica del paese; la Corea del Nord chiede invece di avere un allentamento delle sanzioni sulla fiducia, per poi procedere con un parziale e non definito disarmo.

Trump sembrava disposto a concedere qualcosa in più rispetto al resto degli apparati americani, molto più rigidi. Aprire alla rimozione di qualche sanzione significherebbe accettare implicitamente che Pyongyang entri in un sistema di controllo degli armamenti tra potenze piuttosto che in una fase di denuclearizzazione completa.

Happy Halloween da Kim. Due missili fanno ballare i negoziati con gli Usa

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