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La condizione di Matteo Salvini è a dir poco paradossale: è il leader politico più importante d’Italia, ma è costretto a governare, fra l’altro da posizioni di minoranza, con una forza politica con cui gli è impossibile trovare una sintesi che non sia quella di una spartizione rigida delle competenze. È come se avessimo due governi, e quello leghista per giunta conta meno dell’altro pentastellato. Una situazione che potrebbe usurare la Lega, erodendone il consenso, ma che ha alternative, a cominciare dalle elezioni politiche anticipate, molto incerte e pericolose per lo stesso partito.

LE ALTERNATIVE AL GOVERNO ATTUALE

Contro la Lega potrebbe coalizzarsi infatti un insieme di forze nazionali e internazionali che potrebbero far cozzare un eventuale nuovo esecutivo contro ostacoli insormontabili. È chiaro che la scelta più ragionevole per Salvini sia ora, da una parte, quella di tenere a bada e ridimensionare, nella misura del possibile, l’ingombrante alleato grillino; dall’altra, di uscire un po’ dai confini nazionali entro cui la Lega si è finora rinserrata. Anche perché lì fuori non tutto è ostico e ostile e qualche alleato lo si potrebbe trovare, incuneandosi nel gioco di potenze sempre più mobile che in questo periodo affastella la scena del mondo e se ne contende il dominio.

L’OSTACOLO PER SALVINI: BRUXELLES

Ora, è evidente che, se la politica ha una sua razionalità, l’unico alleato che può in prospettiva garantire molto alla Lega, rendendo meno velleitarie certe sue richieste, è proprio l’amministrazione statunitense di Donald Trump. Lasciamo stare gli elementi “ideologici” e caratteriali, diciamo così, che pure forse hanno una loro importanza, che accomunano Trump e Salvini, ma facciamo un discorso realistico e politico. È indubbio che oggi il maggiore ostacolo alla realizzazione di certe politiche che a Salvini stanno care, e che chi scrive crede sia nel nostro interesse nazionale perseguire, sia a Bruxelles. Certo, la via maestra sarebbe quella di lavorare per cambiare i rapporti di forza sia nella Commissione sia nell’Europarlamento, chiedendo ad esempio una revisione dei parametri economici stabiliti a Maastricht e a noi sfavorevoli. Ma per fare ciò realisticamente non c’è spazio. Lo stesso Parlamento uscito dalle urne del 26 maggio, pur vedendo la presenza di un consistente numero di forze “sovraniste” e di opposizione alle politiche europeistiche fin qui seguite, in sostanza è dominato da un asse della continuità che poco lascia sperare alle forze del “cambiamento”.

L’ALLINEAMENTO CON TRUMP

Per uscire dall’impasse una sola via è praticabile, quella classica della politica: farsi amico il maggiore nemico del tuo amico. E ora non c’è dubbio che il Paese più interessato al depotenziamento dell’Unione europea come è oggi, e cioè dell’Europa a trazione tedesca, sia l’America di Trump. Lo si è visto, fra l’altro, anche nel recente viaggio a Londra, in cui, proprio in funzione antieuropea (cioè contro questa Europa) e antitedesca, il presidente americano ha rispolverato l’asse atlantico e chiesto una partnership speciale alla Gran Bretagna. Se questa partnership si realizzerà dipenderà molto dalle evoluzioni politiche inglesi, ma è indubbio che il nostro interesse nazionale è di legarci a questo carro e non a altri possibili (ad esempio quello cinese) di evidente natura antidemocratica. Salvini sembra aver compreso questo punto e il senso del suo viaggio negli Stati Uniti sembra andare proprio in questa direzione.

INCONTRI NON FACILI

Non incontrerà Trump, ma è logica che sia così non essendo un capo di Stato o di governo. Incontrerà però i due uomini più potenti della sua amministrazione, e certo con loro non parlerà di gastronomia e “dolce vita”: il segretario di Stato Mike Pompeo e il vicepresidente Mike Pence. Non saranno incontri facili perché Salvini ha molte cose da farsi perdonare, direttamente dipendenti da lui o opera del suo alleato. Fra le prime, il vecchio feeling per il dittatore nordcoreano Kim-Jong un e quello più recente per Vladimir Putin; fra le seconde, gli accori firmati dall’Italia con la Cina e la posizione ambigua tenuta sul Venezuela. Salvini, in queste ultime due occasioni, ha preso distanza dal suo governo, anche platealmente nel primo caso (non facendosi vedere in cerimonie ufficiali durante il viaggio del leader cinese Xi Jimping in Italia). Forse però gli sarà chiesto ora uno sforzo in più e maggiore coerenza e affidabilità. La logica degli interessi porta però Putin e Salvini a incrociarsi, e chissà che da questo incontro non maturi lo sblocco dello stallo politico italiano?

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