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Il Pentagono ha invitato la Turchia a fermare la sua offensiva militare in Siria, l’operazione “Fonte di pace”, avvertendo che altrimenti ci saranno “gravi conseguenze”. In una telefonata tra il ministro della Difesa nazionale turco, Hulusi Akar, il segretario alla Difesa, Mark Esper, “ha chiarito che gli Stati Uniti si oppongono alle azioni non coordinate della Turchia” nel nord-est della Siria, secondo una nota diffusa dal portavoce del Pentagono.

Esper ha detto ad Akar che gli attacchi turchi contro i territori siriani occupati dai curdi “mettono a rischio i progressi” nella lotta contro il gruppo dello Stato islamico e “rischiano gravi conseguenze per la Turchia”.

“Il segretario ha inoltre ribadito la sua forte preoccupazione per il fatto che, nonostante le misure di protezione delle forze statunitensi, le azioni della Turchia potrebbero danneggiare il personale americano in Siria”. Da tre giorni, diverse basi segrete usate dalle forze speciali americane lungo il confine siriano – avamposti finora utilizzati per la lotta al Califfato condivisa con i curdi – sono state segnata da una bandiera statunitense issata. Si vuole evitare incidenti spiacevoli, diciamo così.

Esper “ha fortemente incoraggiato” la Turchia a interrompere le azioni “per aumentare la possibilità che gli Stati Uniti, la Turchia e i nostri partner possano trovare un modo comune per bloccare la situazione prima che diventi irreparabile”.

Dopo l’annuncio del parziale ritiro americano da quelle aree fatto domenica dal presidente Donald Trump, arrivato alla fine di una conversazione telefonica con l’omologo turco Recep Tayyp Erdogan, Ankara ha avviato una complessa operazione su un corridoio di territorio siriano che si approfondisce per trenta chilometri lungo tutto il confine con la Turchia.

Quell’area, terra ancestrale su cui i curdi sognano lo stato indipendente del Rojava, è stata occupata dallo Stato islamico dopo il 2014 e riconquistata dalle forze occidentali proprio in collaborazione con le milizie locali Ypg, ma Erdogan ci progetta da anni il dislocamento dei profughi per compiere un piano di ingegneria etnica contro i curdi stessi (che considera terroristici e nemici geopolitici perché collegati al Pkk e alle ambizioni indipendentiste).

Venerdì la Turchia ha aumentato i suoi attacchi aerei e di artiglieria contro le forze curde nell’area, con aerei da guerra e artiglieria che colpiscono in diverse aree civili. I morti sono già oltre 70, di cui una parte miliziani dell’Esercito siriano libero che i turchi stanno usando come fanteria contro i curdi.

Oggi, in uno scenario spesso ripetuto da diversi analisti, alcuni dei combattenti baghdadisti imprigionati con i loro familiari nei campi controllati dai curdi hanno provato a forzare i cancelli approfittando dell’abbassamento del caos prodotto dagli attacchi turchi in quelle stesse zone e del relativo abbassamento del livello di guardia – parte dei carcerieri è stata infatti spostata al fronte.

È uno scenario potenzialmente devastante che potrebbe permettere la ricrescita dello Stato islamico, sul quale il Pentagono è corso a mettere una toppa. Gli Stati Uniti hanno preso in custodia diversi combattenti di alto livello, tra cui due dei Beatles, il gruppo di jihadisti inglesi noto per eseguire le decapitazioni degli ostaggi occidentali nei video propagandistici.

La toppa del Pentagono arriva dopo una precedente dichiarazione con cui le forze armate spiegavano che in realtà dalla Siria non si sarebbero mosse troppe unità, ma solo una cinquantina. Oggi Esper ha invitato la Turchia a bloccare le proprie attività, dopo che la dichiarazione di Trump di cinque giorni fa gli aveva praticamente dato semaforo verde.

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