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Ucciso da un conoscente in casa di un amico comune “per ragioni personali”, è questa la versione che l’agenzia saudita SPA ha fatto circolare sulla morte di Abdulaziz Al Faghem, formalmente più di un ministro, era la guardia del corpo intima di Re Salman. È piuttosto comune trovarlo descritto come “il bastone da passeggio del re”, al Faghem era più di un gorilla: con lui Salman aveva un rapporto personale, come in quei film in cui il bodyguard diventa il confidente, il consigliere sincero con cui il leader condivide idee e preoccupazioni prima che diventino pubbliche. Ma qualche giorno fa, non è chiaro perché, potrebbe essere stato allontanato dal suo ruolo. Ieri sera è finito morto ammazzato.

È per questo che il caso, per ora confinato alla cronaca nera, diventa anche un argomento di interesse internazionale. La notizia è ripresa dai principali media, che per ora non vanno oltre le ricostruzioni ufficiali — al Faghem era a Jeddah, la città dei reali sul Mar Rosso, in una casa privata nel distretto di Al Shatti; qualcuno degli invitati a una serata gli ha sparato, colpendolo così gravemente che arrivato all’ospedale non c’è stato niente da fare; non è chiaro perché tutto sia successo; feriti con lui un filippino e il proprietario di casa; l’assassino è stato a sua volta ucciso dalle forze di sicurezza presenti. Dettaglio che dà la misura dell’importanza di al Faghem, che si muoveva sotto attenzione delle forze di polizia.

Cos’è successo? La fantasia viaggia, il caso è opaco, il contesto lo è ancora di più. L’Arabia Saudita sta attraversando un processo di cambiamenti profondi innescato dalla spinta propulsiva imposta da Mohammed bin Salman, figlio del re che ha già squarciato il processo dinastico facendosi nominare tre anni fa erede al trono e aprendo così formalmente la fase di spaccatura con la parte più conservatrice del potere. MbS, come lo chiamano i media internazionali, è un sovrano amato dalle generazioni più giovani (la stragrande maggioranza demografica), ma poco apprezzato da chi per interessi e mentalità detesta il rinnovamento e gli stravolgimenti promessi per portare il paese a modernizzarsi (sotto tanti campi, a cominciare dalla differenziazione economica dal petrolio).

Promette riforme sociali significative, alcune già avviate. Come la guida per le donne o l’allargamento delle maglie del sistema patriarcale della guardiania. Per dire l’ultima in ordine cronologico, da ieri l’Arabia Saudita ha introdotto un sistema per fare visti turistici (online) simile all’Esta statunitense: “È una cosa rivoluzionaria, perché il paese ha avuto pochissimi stranieri per decenni e decenni, e il risultato (comune a chiunque o qualunque paese si chiuda ermeticamente su stesso) è stato purtroppo sotto gli occhi di tutti”, ha spiegato Cinzia Bianco, esperta dei paesi del Golfo dell’Ecfr, che sottolinea come si tratti di un’altra, non scontata apertura permessa dall’attuale corso del potere incarnato da MbS per allontanare il regno da un controverso rapporto col mondo; isolato, collegato solo grazie alla forza economica (anche quella non più rocciosa).

Un processo complesso, in cui non sfugge quella che potremmo definire “l’accezione saudita” al termine modernizzazione, ossia declinarne il significato per un paese orgoglioso custode dei luoghi sacri dell’Islam e rigido interprete del sunnismo saudita. È il solo parlarne a generare critiche, che diventano scontro quando i pensieri vengono messi in pratica. È per questo che MbS s’è preparato il terreno per la sua nomina stravolgendo i comparti della sicurezza interna, mettendo tutto quel potente mondo interno sotto il suo controllo e piazzando sui fidati alla guida dei vari dipartimenti. Riassetti che si portano dietro nuovi equilibri da stabilire anche in modo violento (gli arresti dorati dei corrotti, il regime di libertà vigilata imposto al cugino ex-erede, non riguardano solo i soggetti coinvolti, ma tutti i loro prolungamenti negli apparati statali). Non è detto che la vicenda di al Faghem non si inserisca in questo quadro, in queste dinamiche feroci — che non saranno mai pubbliche e ufficiali — all’interno dei gangli del potere. Ci sono indiscrezioni sul fatto che a rimuovere al Faghem sia stato proprio l’erede al trono, perché lo considerava un pozzo di segreti pericolosi.

MbS ha promesso un sogno ai suoi futuri sudditi, generazioni che finora hanno visto davanti a sé porte chiuse da un sistema geriatrico di divisione di ruoli, incarichi e posizioni, mentre adesso immaginano che il nuovo sovrano possa scardinare il sistema. È chiaramente una lettura narrativa, come dimostrato dalle mosse dell’erede certe dinamiche resteranno, solo con targa diversa. MbS sta creando il suo sistema. Intanto il sovrano è stato già in grado di costruire con il suo popolo un nuovo patto sociale (qualcosa che suona come “lasciate a me e al mio potere certe questioni, in cambio di un futuro più aderente alla modernità globale”). È su queste basi che i cittadini sauditi accettano questioni come la guerra in Yemen o il caso Khashoggi — non senza critiche, non senza un certo senso di insofferenza per come male si inseriscano queste piaghe all’interno di quella narrativa futuristica). Il caso del giornalista ucciso nel consolato di Istanbul lo scorso anno potrebbe essere tra quelli su cui al Faghem era informato in profondità, anche lì si annidano i sospetti di chi va oltre il caso di cronaca.

Qualcuno, con la sua eliminazione dal circolo del potere, ha voluto mettere una pietra tombale su alcune informazioni a proposito di un coinvolgimento diretto di MbS? Altre voci parlano del gorilla in lite con la leadership militare e di sicurezza del paese — ergo con l’erede al trono. Ne criticava l’incompetenza nella gestione della guerra in Yemen — l’impegno fallimentare che dura da quattro anni contro i ribelli Houthi che hanno avviato la rivoluzione nel paese con l’aiuto (quanto meno militare) dell’Iran. La campagna saudita per fermarli, nonostante una teorica superiorità tecnica devastante, non va avanti. L’operazioni in Yemen è stato il primo passo pubblico di MbS verso una politica più assertiva nella regione, cercando di costruire per sostenere la campagna un’alleanza militare, dal sapore politico, con altri paesi sunniti del quadrante. La difesa saudita ha dimostrato falle enormi pochi giorni fa, quando i ribelli yemeniti hanno lanciato un attacco contro due impianti petroliferi probabilmente da dentro il paese. Al Faghem sapeva e commentava: era diventato scomodo?

(Foto: Saudi Kingdom Press, via Spa. Al Faghem con il re)

Morte sospetta in Arabia Saudita. Ucciso il bodyguard di Re Salman

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