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In tempi di global dissensus la negoziazione ha preso il posto, nei consessi internazionali, dell’adesione acritica, o comunque non discutibile, ai valori e ai principi su cui si erano basate le relazioni internazionali nel secondo dopoguerra. Anche fra gli Stati dell’Unione Europea, il negoziato e la trattativa possono render meno vincolanti quelle regole e quei parametri su cui pure la costruzione europea si era fondata. La retorica europeista che ha avuto corso nel nostro Paese ha fatto del “vincolo esterno” quasi un dono della Provvidenza: un giusto prezzo da pagare sull’altare dell’autoeducazione nazionale. Abbiamo perciò accettato, persino contenti, parametri che francamente ci penalizzavano e successivamente non abbiamo fatto la voce grossa quando Stati più forti del nostro sforavano le soglie stabilite senza pagar pegno.

UNA POSSIBILE TRATTATIVA ITALIA-UE

Col “governo del cambiamento” le cose sembrano ora essere cambiate: l’Italia vuole essere più libera di muoversi, e anzi vuole rimettere in discussione giustamente quei vincoli che alla prova dei fatti hanno affossato la sua economia. Come farlo se non attraverso una trattativa, cioè con la negoziazione? Il compito di portarla avanti, con tutto quel che ne consegue anche nei rapporti interni al suo governo, se l’è preso Giuseppe Conte. Ed è un compito veramente titanico, non avendo il nostro Paese in questo momento, almeno apparentemente, molte armi in mano o spazi di manovra. Per intanto, Conte ha deciso di muoversi lungo tre direttrici: 1) ha detto di accettare i vincoli esistenti (se avesse rotto il tavolo, d’altronde, che trattativa mai sarebbe stata); 2) ha criticato le considerazioni macroeconomiche contenute nella lettera di avviso di avvio di una procedura di infrazione spedita dalla Commissione, mostrando come i fondamentali del nostro Paese siano meno critici di quanto ivi descritto 3) ha affermato con nettezza di voler lavorare a cambiare i parametri, dando l’assenso del nostro Paese solo a un commissario economico che sia aperto a ridiscuterli.

Da bravo giocatore, Conte ha quindi allargato il tavolo della trattativa, tenendo dentro anche la questione, niente affatto irrilevante, delle prossime nomine. In sostanza, ha detto: “Volete il voto dell’Italia sui nomi da voi proposti, ebbene queste sono le nostre condizioni!”. Non poteva fare altrimenti: essendo l’Italia in minoranza su ogni punto, possiamo solo sperare che si crei qualche crepa nel fronte avversario che permetta di inserirci a favore di uno dei contendenti (d’altronde, anche se non c’è all’orizzonte un Cavour, non siamo nati come Stato nazionale proprio con una politica di questo genere?).

Lo stesso sottosegretario alla presidenza del Consiglio, l’influentissimo Giancarlo Giorgetti, ha avvalorato la strategia del tavolo largo. Dopo che si sono diffuse le voci di una sua candidatura a commissario europeo, egli ha infatti smorzato i toni degli amici entusiasti dicendo che era un “discorso prematuro” perché prima bisogna evitare la procedura d’infrazione contro il nostro Paese. Confermando così che l’Italia unirà nelle trattative le due questioni.

L’EUROPA FIN DOVE SI VUOLE SPINGERE CON NOI?

Allargare il tavolo aumenta sicuramente le possibilità, che però restano minime. Ovviamente, il rischio più grosso che Conte sta cercando di scansare è quello di una reazione dura dei mercati a una procedura di infrazione nei nostri confronti: la procedura in sé non creerebbe infatti molti altri problemi, sia perché sarebbe di difficile e lunga attuazione pratica sia perché a questo governo di tenersi amici gli Stati forti del continente non sembra interessare in modo forte come ai governi precedenti. Il prezzo politico è stato già tutto pagato.

C’è poi un aspetto non secondario da considerare. È evidente che la Commissione europea vuole darci una lezione, ma fino a che punto può spingersi? Fino a che punto un nostro default sarebbe solo nostro e non metterebbe in crisi anche il progetto europeo, più ancora della Brexit essendo il nostro uno dei Paesi fondatori? Nel gioco delle parti, seppur sottaciuto, conterà anche questo elemento. Probabilmente nella sua vita professionale, l’avvocato Conte non ha mai portato avanti una trattativa così complicata. Ma che sia appunto un affermato avvocato è quasi un segno del destino.

Il compito titanico di Conte a Bruxelles

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