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Il concorso per l’ampliamento del Palazzo dei Diamanti a Ferrara ha aperto diversi interrogativi. Il primo, e più importante dal punto di vista amministrativo, è legato alla decisione di annullare un procedimento ormai concluso, con un progetto vincitore esente da vizi formali, cioè dell’unica ragione che avrebbe potuto giustificare la rimozione del risultato.

Il secondo aspetto, apparentemente marginale, ma che tale non è nei fatti, è l’intervento di alcuni critici, a distanza di un tempo eccessivamente lungo dal momento in cui è stato reso pubblico il bando. Perché queste voci si sono fatte sentire solo adesso, così in ritardo? Non potevano inserirsi all’interno del dibattito al momento dell’avvio della procedura e quindi partecipare alla costruzione di un’idea prima che si sviluppasse, con evidenti costi, l’intero iter progettuale?

Terzo, e più complesso argomento, è la disputa, con un pronunciamento del ministero, sulla valutazione della liceità dell’intervento e sulla decisione se questo possa rivolgersi ai canoni dell’architettura contemporanea. Questo terzo tema pone in discussione questioni che non possono assolutamente essere oggetto di normazione, perché appartengono a scelte di evidente natura culturale. Queste riguardano il valore della città antica e della sua caratterizzazione all’interno dello sviluppo contemporaneo; ma anche la funzione di un museo, la sua tipologia e la sua evoluzione.

Il museo nel tempo si arricchisce di opere e quindi ha sempre bisogno di ulteriori spazi. Questo comporta la realizzazione di parti nuove che, come tali, devono rapportarsi con l’edificio preesistente, in modo da non alterarne l’integrità, soprattutto se questo presenta un valore artistico riconosciuto. La scelta più comune, diffusa quasi ovunque, combina l’esistente con la parte aggiunta, dichiarata, ben riconoscibile, possibilmente separata dal volume originario. Molti sono gli esempi, anche se di dimensioni diverse dal Palazzo di Ferrara, che si rifanno a questa impostazione: il Louvre di Parigi con la Piramide di Pei, il Metropolitan Museum di New York con l’addizione di Roche e Dinkeloo, la National Gallery di Londra con la nuova ala di Venturi, il Modern Art Museum di Washington con l’ampliamento di Pei. Talvolta la parte aggiunta si combina perfino in aderenza con l’edificio preesistente, come nel caso del Guggenheim di New York con l’addizione di Gwathemey. Se questa è la logica compositiva prevalente, cosa diversa è il linguaggio espressivo: per alcuni la parte aggiunta viene assimilata, per forma e per natura dei materiali, con quanto già esiste; per altri invece il linguaggio scelto esprime una figura architettonica del tutto diversa, che dichiara la completa estraneità con l’edificio preesistente. A questa scelta aderisce il progetto vincitore del concorso per l’ampliamento del Museo di Ferrara: una soluzione minimalista che dichiara nell’aspetto, oltre che nei fatti, di essere tanto leggera da poter essere rimossa.

L’intervento proposto a Ferrara, a mio parere, rientra in pieno nella linea che propone un’elegante combinazione tra antico e contemporaneo, limitando l’ingombro, alquanto contenuto, alla facciata che prospetta nel giardino interno, retrostante rispetto al prospetto sul Corso Ercole I d’Este.

Vi spiego i dubbi dietro il progetto di ampliamento del Palazzo dei Diamanti di Ferrara

Il concorso per l’ampliamento del Palazzo dei Diamanti a Ferrara ha aperto diversi interrogativi. Il primo, e più importante dal punto di vista amministrativo, è legato alla decisione di annullare un procedimento ormai concluso, con un progetto vincitore esente da vizi formali, cioè dell’unica ragione che avrebbe potuto giustificare la rimozione del risultato. Il secondo aspetto, apparentemente marginale, ma che…

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