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Donald Trump torna ai ferri corti con Amazon. Qualche giorno fa, il Pentagono ha annunciato che il segretario alla Difesa americano, Mark Esper, sta rivedendo il processo per l’assegnazione di un appalto nel settore del cloud computing militare, dal valore di dieci miliardi di dollari. Una gara in cui attualmente i concorrenti risultano due: il gigante di Seattle e Microsoft.

L’annuncio della revisione è arrivato poco dopo che Trump aveva lasciato intendere che il Dipartimento della Difesa avesse truccato la gara proprio a favore di Amazon. “Il segretario Esper si impegna a garantire ai nostri combattenti le migliori disponibilità, compresa l’intelligenza artificiale, per rimanere la forza più letale del mondo, salvaguardando al contempo i dollari dei contribuenti”, ha dichiarato Elissa Smith, portavoce del Pentagono in una comunicato giovedì scorso. “Mantenendo la sua promessa ai membri del Congresso e al popolo americano, il segretario Esper sta esaminando il programma Jedi (Joint Enterprise Defense Infrastructure). Nessuna decisione sarà presa sul programma fino a quando non avrà completato il suo esame”, ha concluso la portavoce. Questa mossa ritarderà prevedibilmente la scelta del vincitore dell’appalto: una scelta, che sarebbe invece dovuta avvenire entro la fine di agosto.

Il progetto Jedi conferirebbe al Pentagono un unico sistema di cloud computing, sostituendo gli oltre cinquecento attualmente in uso. In realtà, va detto che questa gara d’appalto avesse già prodotto qualche polemica prima della “discesa in campo” del presidente americano. Tra le altre cose, i vari competitor in lizza (tra cui figuravano inizialmente anche Oracle e Ibm) hanno contestato la decisione, assunta dal Dipartimento della Difesa, di scegliere una sola azienda per il contratto, favorendo così indirettamente proprio Amazon, che nel settore cloud risulta particolarmente forte. In tal senso, Ibm ha diffuso una dichiarazione giovedì, affermando di aver “a lungo sollevato serie preoccupazioni sulla struttura dell’appalto Jedi” e aggiungendo di ritenere che “uomini e donne in uniforme sarebbero meglio serviti da un strategia multi-cloud”.

Ma non è tutto. Perché le due società escluse hanno anche contestato due incontri avvenuti tra alti rappresentanti di Amazon (incluso lo stesso fondatore, Jeff Bezos) e l’allora segretario alla Difesa, James Mattis, nel corso del 2017. Ciononostante i ricorsi intentati da Oracle si sono rivelati un buco nell’acqua: lo scorso luglio, una corte federale ha infatti stabilito che, poiché la multinazionale di Redwood non ha soddisfatto i criteri per l’offerta, “non può dimostrare pregiudizio a causa di altri possibili errori nel processo di approvvigionamento”. Una sentenza che aveva spinto il Dipartimento della Difesa a ribadire la natura “equa” del processo di selezione. Quando sembrava quindi ormai tutto appianato, è intervenuto Trump che – due settimane fa – ha mostrato interesse per le proteste di Oracle e IBM, dichiarando: “Stanno dicendo che non era una gara competitiva. Alcune delle più grandi aziende del mondo si stanno lamentando. Chiederò loro di analizzare la faccenda molto da vicino per vedere cosa sta succedendo, perché ho avuto pochissime cose in cui ci sono state tali lamentele.”

Nonostante sia piuttosto insolito che un presidente si occupi direttamente dei contratti stipulati dal Pentagono, non è la prima volta che Trump si comporta in questo modo. Un fattore che potrebbe determinare qualche attrito con le alte sfere della Difesa, mentre – sul fronte del Congresso – la situazione appare in chiaroscuro. Se alcuni deputati hanno recentemente inviato un lettera a Trump proprio per spingerlo ad interessarsi in prima persona della questione Jedi, quattro esponenti del Partito Repubblicano (Mac Thornberry, Michael Turner, Elise Stefanik e Robert Wittman) hanno invece chiesto alla Casa Bianca di accelerare il progetto.

Come che sia, al di là delle questioni legate alla Difesa, non è affatto escludibile che, alla base della mossa di Trump, possa celarsi anche l’astio atavico da lui nutrito nei confronti di Jeff Bezos. I due non si sopportano da tempo. E il fatto che il fondatore di Amazon sia anche il proprietario del Washington Post (quotidiano da sempre particolarmente ostile a Trump) certo non facilita la situazione.

 

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