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La guerra alle porte di Tripoli sembra destinata a non avere soluzioni almeno per il momento. Il signore della guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar, il 4 aprile ha lanciato un’offensiva per conquistare la capitale, ma nonostante le promesse iniziali di uno scacco matto repentino, la situazione, alla vigilia dei quattro mesi di conflitto, resta imballata. E per salvare la faccia spinge l’acceleratore dei combattimenti.

Sull’altro lato, le milizie che difendono Tripoli, dove è insediato il Governo di accordo nazionale (Gna) promosso dalle Nazioni Unite e guidato da Fayez Serraj, si sono dimostrate combattive e hanno applicato una resistenza attiva. Si tratta di unità militari intervenute prevalentemente da Misurata, centro di comando della difesa militare della capitale e della protezione politica del Gna, che adesso dimostra qualche malcontento.

La città-stato tripolitana è forte e gode di ottime relazioni internazionali (con Italia, Regno Unito e Usa). Ha dato diversi pezzi grossi al Gna — come il vicepremier Ahmed Maitig e il ministro dell’Interno Fathi Bashaga (che recentemente ha avuto un colloquio con Matteo Salvini) — e ora vuole essere ascoltata. I misuratini, ma anche Serraj, non vogliono trattare e non vogliono tregue. Chiedono il ritiro completo delle truppe haftariane, anche perché le forze dell’autoproclamato Feldmaresciallo della Cirenaica — propaganda a parte — perdono ogni giorno terreno. E Misurata è stata anche rinforzata recentemente da una nuova fornitura di armi turche (Ankara è un attore esterno che, come Egitto ed Emirati sul lato di Haftar, e insieme al Qatar partecipa indirettamente alle dinamiche dello scontro).

Pensano di poter vincere e respingere l’aggressione. Hanno anche spostato degli assetti aerei a Sirte, città sulla costa verso oriente, che i misuratini hanno liberato dall’occupazione baghdadista nel 2016 (con l’aiuto degli americani). Da lì possono colpire in profondità, fino alla Mezzaluna petrolifera controllata dagli haftariani e addirittura avrebbero le capacità per arrivare a Bengasi, capitale del regime militarista che Haftar ha instaurato in Cirenaica. È per questo che recentemente l’aviazione del Feldmaresciallo ha bombardato l’accademia dell’aeronautica di Misurata, dove sembra si trovi il centro di controllo dei droni forniti dalla Turchia.

Il quadro della situazione tracciato ce lo fornisce una fonte libica informata sulle discussioni di alto livello tra i corridoi misuratini e del governo di Tripoli. Per parlare liberamente sceglie l’anonimato, perché ci spiega che la situazione sul campo ha un ovvio riverbero sul piano diplomatico ed è delicatissima. Il Consiglio di Stato (l’organo legislativo collegato al Gna) e il Consiglio  Presidenziale guidato da Serraj non apprezzano l’azione di Ghassan Salamé, il delegato delle Nazioni Unite, e — ci anticipa la nostra fonte — stanno preparando una lettera per sfiduciarlo. Chiederanno all’Onu che venga sostituito. Perché? “Lo considerano responsabile del fallimento del dialogo intra-libico, e poi lo vedono troppo morbido con Haftar, Salamé non lo condanna quando invece è lui che ha aggredito il governo che l’Onu dovrebbe difendere, è lui che ha ucciso civili a Tripoli, ha bombardato aeroporti e ospedali, ha addirittura colpito un centro migranti cogliendo sul sonno dozzine di profughi e uccidendone più di sessanta”, chiosa il nostro contatto.

Misurata è nervosa. Vuole battere Haftar (e critica l’Onu per lo scarso appoggio)

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