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Ilva, una partita doppia per Luigi Di Maio. Una delle storie industriali più complesse e tribolate degli ultimi decenni, è finalmente giunta a punto di svolta che getta nuove basi per quella che è, ancora oggi, l’acciaieria più grande d’Europa. In poche ore sono arrivate una serie di notizie che fanno ben sperare per il futuro industriale di uno dei principali centri industriali del Mezzogiorno. Il dato principale è che oggi il ministro dello Sviluppo e vicepremier, artefice pochi mesi fa di un insperato accordo con i franco-indiani di Arcelor Mittal gruppo a capo della cordata AmInvestco subentrata alla vecchia gestione targata famiglia Riva, ha aperto ufficialmente la fase due del polo siderurgico, lanciando al contempo una sfida a chi in questi anni, nel nome dell’ambientalismo, ha più volte cercato di fermare il rilancio dello stabilimento. Una missione non da poco e su due fronti: fare industria tutelando salute e ambiente e riconquistare il consenso perduto al Sud.

Tutto parte da una premessa. E cioè il benestare della Commissione europea all’acquisizione di alcuni asset Mittal da parte di Liberty House Group, azienda registrata a Singapore con sede a Londra. Si tratta di una scelta obbligata per il gruppo franco-indiano dal momento che le regole Ue in materia di Antitrust impongono a qualunque gruppo industriale di non superare una quota di mercato pari al 40%. Per questo la condizione per rilevare l’Ilva era cedere a Liberty House Group un’acciaieria integrata a Galati (Romania), a Ostrava (Repubblica Ceca) e alcuni impianti di finitura in Italia, Belgio, Lussemburgo e Macedonia del Nord. Sulla base di queste cessioni che danno a Mittal la piena operatività su Taranto in affiancamento ai commissari, può ora incardinarsi la fase 2 prospettata oggi da Di Maio.

Un vero e proprio secondo tempo inaugurato con l’annuncio delle dimissioni (con decorrenza giugno 2019) dei commissari straordinari Corrado Carrubba, Piero Gnudi ed Enrico Laghi, i quali hanno inviato una lettera allo stesso Di Maio. Una scelta che segue una precisa logica industriale: garantiti il cambio di proprietà e gli investimenti (400 milioni solo nel 2019), adesso i nuovi commissari che subentreranno ai tre dimissionari dovranno farsi carico della nuova mission indicata dallo stesso Di Maio nel commentare il cambio ai vertici dell’amministrazione straordinaria. E cioè “la progettazione e realizzazione del futuro di Taranto, concentrandoci in particolare sulle attività di bonifica e sul rilancio economico e sociale del territorio”.

L’apertura di una nuova fase è peraltro prospettata nella stessa missiva inviata dai tre commissari al vicepremier. I quali “hanno ritenuto opportuno rimettere l’incarico per consentire al ministro dello Sviluppo Economico ogni valutazione sull’ulteriore percorso che l’amministrazione straordinaria del gruppo Ilva dovrà affrontare nell’ambito degli indirizzi che fornirà la Commissione speciale per la riconversione della Città di Taranto, anche in raccordo con il Tavolo istituzionale permanente per l’area di Taranto”. Ed è proprio questa la mission di Di Maio. Fare di Taranto un esempio di industria pienamente rispettosa dei canoni ambientali previsti dal piano di bonifica. Come a dire, non c’è bisogno di chiudere l’Ilva per salvare l’ambiente, basta fare un accurato lavoro di risanamento senza mettere sulla strada migliaia di persone.

Non è finita. Non c’è solo l’aspetto ambientale, ce n’è anche uno più politico, che in vista del voto del 26 maggio può avere una valenza doppia. Non è un mistero che il Movimento Cinque Stelle debba recuperare al Meridione consensi importanti, persi proprio sul fronte dell’Ilva (nel contratto di governo il Movimento si impegnava a chiudere lo stabilimento) ma anche del Tap. Ora Di Maio rilancia e punta a riconquistare consenso, attraverso la formula del fare industria senza danneggiare salute e ambiente.  Non è un caso che proprio domani il vicepremier sia in visita a Taranto con altri quattro ministri: Giulia Grillo (Sanità), Barbara Lezzi (Sud), Sergio Costa (Ambiente) e Alberto Bonisoli (Cultura). Come non è un caso la partecipazione di Di Maio alla riunione del tavolo permanente del Contratto istituzionale di sviluppo (Cis), sempre domani in Prefettura a Taranto, cui seguirà un incontro con 23 tra associazioni, comitati e movimenti, compresi i gruppi che chiedono la chiusura dello stabilimento siderurgico. Di Maio non lascia, ma raddoppia.

Intanto sempre dal Movimento Cinque Stelle viene fatto notare come la guerra alle trivelle e alle perforazioni in mare per la ricerca di idrocarburi prosegua senza esclusione di colpi. “Grazie all’impegno del Movimento 5 Stelle e del ministro Sergio Costa, finalmente i colossi petroliferi che per anni hanno invaso i nostri mari pagando prezzi bassissimi, ora ricevono i loro primi ‘No’. Il ministro dell’Ambiente, Costa ha appena annunciato di aver approvato lo Stop a 8 pozzi petroliferi nel canale Sicilia, proprio di fianco alla piattaforma Vega, tra le più invasive e dannose per il mare”, spiegano i deputati i senatori del Movimento 5 Stelle in commissione Ambiente.

“Se lo diciamo, lo facciamo davvero! E siamo orgogliosi di poter vedere con i fatti che le regole per trivellare i nostri mari sono finalmente cambiate, diventate più stringenti a tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini. La Sicilia, è una delle Regioni più martoriate dall’estrazione di fonti fossili, quelle che vogliamo superare attraverso politiche mirate verso una riconversione energetica in chiave ecologica. La Edison voleva aprire altri 8 pozzi, ma abbiamo detto di no perché riteniamo che sia arrivato il momento di puntare i piedi sul tema delle trivelle in Italia, investendo sulle fonti rinnovabili e scoraggiando chi si è ostinato per anni a invadere e distruggere i nostri mari per estrarre oro nero a prezzi bassissimi. Grazie al Movimento 5 stelle non svendiamo più il nostro territorio al miglior offerente”, concludono i parlamentari.

ilva, m5s

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