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Difendere l’Unione Europea non è mai stato impopolare come in questo periodo. La crisi economica e le seguenti politiche di austerity, il sacrificio della Grecia e infine la Brexit hanno crivellato il sogno europeo che, a poche settimane dalle elezioni del Parlamento europeo, rischia di essere messo ulteriormente in difficoltà dall’elezione di un nutrito gruppo sovranista.

“Stare in Europa”, è un imperativo che Riccardo Perissich, professionista di lungo corso nelle istituzioni europee (iniziò la sua carriera nel 1966 quando Altiero Spinelli lo chiamò a dirigere il settore degli studi sulle Comunità Europee all’Istituto Affari Internazionali di Roma), mette nero su bianco nel suo ultimo libro edito da Bollati Boringhieri.

Al termine di un’affollata presentazione che ha visto sul palco anche Marina Valensise, Paolo Gentiloni e Lorenzo Bini Smaghi, abbiamo parlato con l’autore, fine conoscitore delle dinamiche europee e immune alle “ideologie alla moda”, delle sfide che attendono l’Ue provando ad andare oltre i luoghi comuni.

“Se un sogno tarda a realizzarsi diventa un incubo”. Lo ha detto lei parlando del travagliato rapporto dell’Italia con l’Ue.

Partiamo dal presupposto che non si è incagliato il sogno europeo. Il problema è che all’Italia è stato spiegato, in maniera troppo facile, che si andava verso una federazione europea. Fino a che le cose andavano bene, economicamente, procrastinare non era un problema. Quando le cose hanno incominciato ad andare male ci si è chiesti dove fosse finito il sogno. Quindi siccome la crisi economica crea danni, le decisioni che si prendono sono impopolari e tutto si trasforma in un incubo e quello che doveva essere una speranza si trasforma in un vincolo. Così il sogno diventa un incubo.

L’Italia davvero rischia di uscire dall’Ue?

Non ora. La Gran Bretagna ci ha messo 40 anni ad uscire dall’Ue.

Adesso si è rotto un tabù.

Sì. Il problema è che la Gran Bretagna è entrata male nell’Unione europea, senza crederci e sono rimasti perché hanno capito che avevano dei vantaggi ma per 40 anni ci sono stati male e si sono accumulate difficoltà. E soprattutto si è creata e diffusa una narrazione negativa sull’Europa veicolata da tutti, dai media, dalla televisione, da buona parte della classe politica. Nessuno aveva il coraggio di difenderla, nemmeno gli europeisti, quindi piano piano si è creato nell’opinione pubblica un sentimento negativo.

E poi c’è stato il referendum.

Quando hanno commesso la follia di chiamare il referendum i cosiddetti europeisti avevano come solo argomento che se avesse vinto la Brexit le condizioni di vita sarebbero peggiorate. Questo non è un buon argomento per vincere.

C’è il rischio che arrivi la Troika in Italia? E che ripercussioni avrebbe questo eventuale “commissariamento” per le relazioni internazionali dell’Italia?

Per le relazioni internazionali sarebbe un dramma. Cosa conduce alla Troika? L’influenza reciproca che possono avere gli atteggiamenti politici dei governi europei e le reazioni dei mercati. Arriva la Troika se siamo insolvibili, non ci siamo ancora. Io non credo che sia un rischio immediato però l’anno scorso siamo andati vicino al precipizio e poi ci siamo salvati. La prossima volta cosa faremo? A questa domanda non ho risposta.

Secondo lei quali dovrebbero essere gli argomenti a difesa della Ue di un partito europeista italiano?

Intanto dovrebbe difendere gli enormi vantaggi che abbiamo avuto finora. Molto spesso è mancato il coraggio di difenderli. Partiti europeisti italiani devono adottare, rispetto all’Europa, un atteggiamento realista, su questo punto insisto molto nel mio libro. Devono smetterla di porsi obiettivi non realisti, promettere grandi cambiamenti quando manca il consenso politico per farlo. In realtà molto spesso, in passato, è stata realista. Adesso ha smesso e vale per tutti i partiti politici. Ricordo lo slogan di Matteo Renzi: “L’Europa sì ma non così”? Passa un messaggio sbagliato.

Che lei ricordi l’Unione Europea è mai stata così sotto attacco?

Sì e no. Abbiamo avuto crisi altrettanto gravi che avrebbero potuto portare alla dissoluzione. La prima crisi fu con De Gaulle negli anni ’60, l’Ue poteva finire lì i suoi giorni. Oggi la crisi è più grave perché ci sono molti più Paesi ed è più complicato trovare un accordo, poi perché in ballo ci sono politiche che toccano più da vicino il cuore della sovranità nazionale, quindi è più arduo fare concessioni. D’altro canto i rischi che si corrono oggi sono molto più seri di allora, quindi la spinta a non sfasciare tutto forse è più forte di quanto non lo fosse allora. Oggi occorre recuperare la volontà di fare compromessi.

A proposito di compromesso, reputa possibile un’alleanza del Ppe con le forze sovraniste?

Chi pensa questo non è mai stato in Germania, non ha mai parlato con un tedesco. Per i tedeschi la costruzione europea è stata la riconciliazione con la Francia, oltre che tante altre cose. Per i francesi vale lo stesso. Basta ricordare che nel passato ci sono due guerre mondiali e la guerra franco-prussiana. Spingere il Ppe a fare l’accordo con i sovranisti per i tedeschi vorrebbe dire rompere con i francesi, perché vorrebbe dire accordarsi con Marine Le Pen. Impossibile. D’altro canto, negli ultimi giorni, da esponenti di punta del Ppe tedesco sono arrivati messaggi molto chiari. Molto importante è quello che ha detto il cancelliere austriaco Kurz, tipico esempio del popolare di destra che flirta con i sovranisti che ha anche nel suo governo. Chi pensa questo, come Berlusconi o Tajani, avrà una grande delusione.

Quali geometrie immagina per le alleanze nel nuovo Parlamento europeo?

Immagino che socialisti e popolari non avranno più la maggioranza, molto probabilmente sarà possibile una maggioranza a tre con i liberali. Se questo non fosse possibile ci sarà una maggioranza a quattro con i verdi, in questo caso i numeri non mancherebbero. Su questo non avrei dubbi.

Nel corso della sua presentazione ha detto che il gruppo di Visegrad è pericoloso per l’Ue. Perché?

Perché noi siamo abituati a comporre conflitti di interesse nazionale che possono avere a che fare con i fondi da distribuire o con i livelli di inflazione da mantenere, solo per fare un esempio. Questi problemi si risolvono, più difficile fronteggiare differenze valoriali, non siamo equipaggiati. L’Ue è nata con l’ipotesi di base che tutti i partecipanti hanno gli stessi valori, scoprire che c’è un signore che teorizza la democrazia illiberale è qualcosa con cui fare i conti ma è incompatibile con l’Unione europea. Noi trasferiamo ai Paesi del gruppo di Visegrad tra il 3 e il 4% del loro Pil, un mucchio di soldi. Bisogna spiegare all’elettorato olandese, francese, tedesco, Paesi che a questi valori tengono molto, che devono continuare a pagare per trasferire tutti quei fondi. Non funzionerà, prima o poi i nodi arriveranno al pettine.

Perché non sono ancora arrivati al pettine?

Prima di tutto perché c’è un problema grande come una montagna che è la Polonia. Basta conoscere un po’ di storia per capire cosa vuol dire per i tedeschi essere riusciti a convivere pacificamente con la Polonia. E poi quella è la nostra frontiera orientale, non possiamo far finta che non sia un nostro interesse conservarlo. La nostra capacità di pressione economica e politica su quei Paesi è molto forte, questo dovrebbe essere un ottimo deterrente alla separazione. Certo non possono continuare ad avere i soldi europei, la protezione americana e i valori di Putin.

Da cosa deve ripartire l’Europa per tornare nei cuori degli italiani?

Deve risolvere i problemi. Io, in questo momento, non credo ai cambiamenti della struttura istituzionale. Ci sono problemi concreti che vanno affrontati e risolti.

Qual è il primo della lista?

Non c’è, ce ne sono tanti: la tenuta dell’euro, la competitività dell’economia, la transizione energetica, i rapporti con la Russia, con gli Usa, l’Africa, la Cina. Non ce n’è uno più importante.

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