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Quasi dieci anni fa, nel dicembre del 2010, l’allora ambasciatore d’Italia in Algeria, Giampaolo Cantini, presentava ad Algeri un convegno sul rapporto tra Enrico Mattei e il Paese nordafricano durante la guerra di liberazione nazionale, sotto l’alto patronato del presidente algerino Bouteflika. Nella sua presentazione, l’ambasciatore ricordava il ruolo assunto dalla figura di Mattei nel Paese algerino e il fatto che in Italia la comprensione della causa algerina travalicasse le ideologie e le separazioni politiche interne, anche in relazione alla relativamente recente memoria della guerra di liberazione nazionale (1943-1945) e dello stesso Risorgimento italiano.

Il gasdotto di riferimento dell’Italia per l’area algerina è chiamato ancora oggi “Enrico Mattei” (Transmed) e venne inaugurato nell’agosto 1983 dai presidenti Chadli per l’Algeria, Bourghiba per la Tunisia e Sandro Pertini per l’Italia. L’importante infrastruttura energetica dedicata a Mattei – fondatore e presidente dell’Eni dal 1953 al 1962 – simboleggiava la rilevanza dell’impegno dell’uomo in relazione al contesto algerino e al Maghreb in generale, alla perenne ricerca di formule cooperative maggiormente condivise. Considerando anche la formazione dei quadri dell’industria petrolifera algerina nelle scuole dell’Eni a San Donato Milanese.

Per dare un’idea dello strappo concettuale portato da Mattei rispetto alle visioni normalmente in uso nel suo tempo, è significativo leggere un passaggio della conferenza che egli tenne al Centro studi di politica estera di Parigi, nel 1957: “Il petrolio è una risorsa politica per eccellenza, fin dall’epoca in cui la sua importanza era più strategica che economica. Si tratta ora di utilizzarlo al servizio di una buona politica, senza ricordi imperialisti e colonialisti, che miri al mantenimento della pace e al benessere di coloro che, grazie alla natura, sono i proprietari di questa risorsa e di coloro che l’utilizzano per il loro sviluppo economico”.

La relazione biunivoca tra prezzo degli idrocarburi ed entrati fiscali algerine rimane una variabile strutturante ancora oggi, più di 50 anni dopo la morte di Mattei. E rimane una cifra di lettura e una leva di azione importante del Paese – membro Opec – impattando su diverse misure governative. Nell’approssimarsi delle prossime elezioni presidenziali algerine, previste per il mese di aprile, appare tuttavia interessante considerare l’Algeria nel suo insieme sistemico. Ovvero, osservando il Paese quale prezioso laboratorio politico, tendenzialmente chiuso ma dal valore potenzialmente euristico. Capace cioè di ispirare formule “socio-istituzionali” stabilizzanti, così come di far approcciare in modo preventivo possibili criticità associate alla demografia del Paese.

Rispetto all’immagine del laboratorio algerino, due temi appaino oggi avere una profondità strategica pluriennale. Temi che si pongono per certi versi in relazione anticiclica tra loro, tra timore di perdita della memoria interna da lato e – dall’altro – speranza di riconciliazione e capacità rigeneratrice anche per altri Paesi, contermini e non. Il primo tema strategico appare il seguente. Nel 2011, al tempo delle cosiddette “primavere arabe”, i millennials in Algeria (ovvero quella parte di popolazione priva di una memoria diretta e vissuta del terribile decennio di piombo 1991-1999) erano ancora enfants. Era inoltre diffusa nei loro padri e nei loro nuclei familiari estesi una certa “saggezza anagrafica”, quasi un deterrente a nuove implosioni interne. Nel 2025 quale persistenza della memoria avranno i nuovi ventenni in Algeria in caso di disequilibri interni, eventualmente associati a shock esogeni? Come preservare la stessa in modo efficace? Parafrasando il titolo di un noto libro dello storico ed ex direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli, come proteggere l’arma (difensiva) della memoria che agisce ancora oggi come “spettro positivo” e disincentivante di violenza?

Il secondo tema strategico risale invece alla dimensione della speranza. La domanda di ricerca è la seguente: il modello di amnistia, dialogo e riconciliazione promosso e sostenuto storicamente Bouteflika è o sarà in qualche modo applicabile e trasferibile al caso libico e a quello siriano? Quali lezioni e modalità di inclusione sociale si potrebbero adottare e mutuare, anche se in modo parziale? Storicamente, l’Algeria è apparsa venir fuori dal decennio di piombo in temi relativamente rapidi. Appena 20 anni fa, nel biennio 1997-1998 ai tempi dei picchi stragisti del Gia (gruppo islamico armato), forse pochi l’avrebbero pensato. L’Algeria potrebbe allora essere anche un “modello retrospettivo” di medio termine per altri Paesi del Maghreb e del Mashreq oggi così tormentati e socialmente fragili. Sotto questa luce, sarà altresì interessante verificare l’efficacia delle riferite correnti pratiche di amnistia per i jihadisti del Sahel che si arrendono alle autorità algerine.

macron algeria algerini

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