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“Il timbro di Parigi sull’azione del generale Haftar in Libia, come scrive Repubblica in prima pagina? “Ecco se ciò fosse dimostrato il governo italiano dovrebbe richiamare l’Ambasciatore per consultazioni e la Mogherini intervenire duramente”. Sarebbe tutto molto logico se a scrivere fosse un esponente della Lega o del M5S, partiti ontologicamente allergici al presidente francese Macron. Fa specie, invece, che l’autore del pruriginoso Tweet di risposta ad un utente sia Carlo Calenda, piddino capolista alle Europee nella circoscrizione Nordest per la lista di Zingaretti che va, programmaticamente, “Da Macron a Tsipras”.

L’interrogativo in effetti era già rimbalzato su un altro autorevole quotidiano francese, Le Figaro, che titolava “Il gioco ambiguo della Francia con Haftar” riprendendo le accuse di doppio gioco messe nero su bianco dai titoli de La Repubblica e letti con molta attenzione Oltralpe. È in un quadro di diffidenza così palpabile da potersi tagliare con il coltello che Parigi è intervenuta con una smentita categorica: “Non siamo mai stati avvisati di un’offensiva su Tripoli, che abbiamo condannato sin dal suo inizio”, dice un portavoce del Quai d’Orsay sul l’incontro con emissari di Khalifa Haftar il 4 aprile scorso a Parigi, poco prima dell’inizio dell’offensiva su Tripoli. Mentre oggi, il ministro della Difesa Elisabetta Trenta aggiunge: “Parigi è un nostro partner e mi aspetto correttezza”.

Certo è che in ragione della realpolitik ma anche della ragion di Stato, stanno accadendo molte cose sotto i cieli del Mediterraneo, a partire dai tracciati aerei di un jet Falcon che, in due giornate diverse, si sarebbe mosso tra Bengasi, Parigi e Ciampino, come testimonia il sito Flightradar. La Repubblica, con un video del vice direttore Gianluca Di Feo, ritiene che a bordo dei due voli vi fossero equipaggi consanguinei di Haftar, impegnati però in missioni diverse. Il primo volo avrebbe scortato a Parigi Saddam Haftar, comandante militare delle forze di Bengasi e figlio del vecchio generale, proprio nelle ore dell’attacco sferrato a Tripoli, il 4 aprile scorso.

Qui, il delfino avrebbe incontrato il governo francese, forse proprio per discutere un “piano di attacco”. Il secondo volo del Falcon sarebbe stato registrato lunedì 8. “Viene utilizzato solo da Haftar e dal suo stretto entourage” e lunedì avrebbe trasportato a Roma una delegazione di alto livello che forse comprendeva – anche se mancano conferme – l’altro figlio del generale e suo principale consigliere. Come ormai noto, gli emissari libici si sono incontrati con Giuseppe Conte: un summit fondamentale che si è protratto a lungo, provocando due ore di ritardo nella trasferta milanese del premier.

Una cosa è chiara: il pallino è da tempo in mano ad Haftar. Per questo, il sostegno tecnico fornito da Parigi alle forze di Haftar in nome della lotta contro il terrorismo, che farebbe data a partire da inizio 2016, sotto la spinta emotiva degli attentati di Parigi nel novembre 2015, si è trasformato in modo naturale in un appoggio politico all’ascesa del Maresciallo. “I francesi non sono stati sorpresi dall’offensiva di Haftar contro Tripoli”, ha dichiarato a Le Monde Wolfram Lacher, specialista e ricercatore dell’Istituto tedesco degli Affari internazionali e della sicurezza (Swp), che aggiunge: “La Francia ha investito troppo su Haftar, ora non vuol perdere il suo investimento”. Ma come mantenere il difficile equilibrio con l’Onu (al lavoro sul dossier ormai da quattro anni) e con il capo della diplomazia europea, Federica Mogherini, che chiede al generale Khalifa Haftar, e a “tutte le forze che hanno raggiunto Tripoli o le sue vicinanze di ritirarsi”?

La risposta arriva da una fonte della diplomazia francese, “Haftar non è un capo milizia come gli altri, è un attore importante che occupa più del 70 per cento del territorio”. E siccome in Libia vale la regola che chi comanda il petrolio comanda il paese, è facilmente comprensibile l’attenzione per chi governa il prezioso golfo di Sirte, da cui passano le pipeline di olio e gas, e per chi, da tempo sta facendo il “lavoro sporco” comodo a molti in Europa, certamente non solo ai francesi, nella lotta al terrorismo (nel sud e nell’est della Libia) e nel controllo dei flussi migratori.

Anche l’Italia, dunque, si sarebbe acconciata ad una politica del doppio forno libico, forse anche con canali separati da parte dei componenti di governo. E proprio oggi, dalle colonne del Fatto Quotidiano, il premier Conte, nel sottolineare un contatto costante con la Francia, aggiunge che gli è stata “consegnata una lettera personale del generale Haftar, a conferma della fiducia che ha nei miei confronti. Io ho chiesto ai suoi emissari aggiornamenti sulla situazione sul terreno. Loro affermano di voler liberare il Paese dalle formazioni terroristiche e operare una unificazione delle forze armate e di sicurezza.”

Molti commentatori convergono sull’idea che Haftar stia vivendo ore decisive. Ora o mai più, nella sua logica, deve entrare a Tripoli se non vuole disinnescare il valore anche simbolico dell’azione. E qualcuno già cerca di scrutare l’orizzonte dell’eterno duello Eni-Total, che cercherebbe di sfilare all’ex potenza coloniale il primato nel Paese. Ieri un raid aereo ha colpito la città costiera di Zouara, vicino al porto di Melita, zona importante per la presenza di Eni, che dall’estate scorsa ha avviato la produzione dal primo pozzo del progetto offshore Bahr Essalam Fase 2, il più grande giacimento di gas offshore in Libia, in partnership con la società libica Noc. Una conquista tutta italiana, poiché dopo la guerra del 2011 a cui ha partecipato anche l’Italia e la caduta di Gheddafi non era scontato che Eni, presente dal 1959, operasse ancora nel Paese.

Se Haftar potrà sedersi al tavolo da vincitore, quale degli interlocutori europei favorirà nella ripartizione delle risorse? Quanto peseranno la storia e i colpi bassi tra Francia e Libia? Resta ancora impresso nell’immaginario collettivo Il folklore che ha tradizionalmente accompagnato i viaggi di Gheddafi, che monto’ le sue tende, con corteo di Amazzoni, sia a Roma che a Parigi. Ma resta ancora da scrivere il finale della presunta linea di finanziamenti illeciti provenienti dalla Libia che sarebbero serviti a supportare la campagna alle presidenziali del 2007 di Sarkozy.

Così come ancora si deve fare piena luce sulla guerra personale tra Gheddafi e l’ex presidente, cosa sia andato storto nello scambio di favori, finanziamenti e investimenti economici. Da partite di armi alla costruzione di infrastrutture, le ipotesi apparse sulla stampa sono tante. Certo è che nel 2011, Sarkozy, tradito, fu il primo ad attaccare. Mentre proprio in queste ore, come riferisce l’African Dailyvoice, Saif al-Islam Gheddafi, figlio e delfino del defunto rais, avrebbe fatto una nuova simbolica apparizione, smentendo le notizie della sua morte.

Certo è che l’ombra di Haftar ha il profilo di Gheddafi, ma anche nel loro caso i rapporti sarebbero tutt’altro che limpidi. Haftar sostenne il colpo di stato di Gheddafi contro la monarchia nel 1969 e divenne un alto grado dell’esercito. Nel 1987 condusse una forza d’invasione nel vicino Ciad, ma fu catturato e imprigionato con le sue truppe. Come ricorda oggi un articolo del Financial Times, Gheddafi non avrebbe negoziato per liberarli così, traditi e umiliati. Il generale accettò allora un’offerta di liberazione dalla Cia, interessata a formare un esercito ribelle in terra ciadiana per effettuare un’incursione in Libia, dice Jalel Harchaoui, analista libico presso l’Istituto Clingendael dell’Aia. Con i metodi barbari e brutali che gli si riconoscono, da torture a coercizioni di vario tipo, Haftar riuscì a formare quell’esercito, che però non entrò mai in azione. Venne quindi evacuato prima in Iraq e poi nel 1991 negli Stati Uniti, dove ha trascorso 20 anni.

Ma Haftar avrebbe ricevuto aiuto economico anche dalla Russia, mentre la Francia avrebbe fornito consulenti militari e supporto dell’intelligence. L’invito del presidente Emmanuel Macron nel 2017 ad unirsi a un incontro di riconciliazione a Parigi con Fayez al-Sarraj, il primo ministro di Tripoli, ha elevato il profilo internazionale del generale. “Haftar veniva accolto in una prestigiosa capitale occidentale, non come signore della guerra, ma come statista”, afferma Harchaoui. Tornato in Libia nel 2011, durante la rivolta contro Gheddafi, Haftar non è riuscito a trovare un ruolo. Ci è riuscito solo nel 2014, dopo aver formato il suo LNA e lanciato Operation Dignity contro le milizie di Tripoli.

macron

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