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La recente dichiarazione dei ministri degli Esteri del G7, riunitisi a Fiuggi-Anagni il 25 e 26 novembre 2024, affronta con preoccupazione la crisi regionale in Medio Oriente, sottolineando l’importanza di una soluzione diplomatica e il sostegno agli sforzi di mediazione internazionale. Il documento evidenzia l’urgenza di un cessate il fuoco duraturo e il rispetto del diritto internazionale umanitario nella regione.

La recente tregua raggiunta tra Israele e Hezbollah lungo il confine libanese rappresenta in questo un passo avanti cruciale verso una stabilizzazione più solida, sebbene si basi su un delicato equilibrio operativo che richiede il coordinamento di diverse forze sul campo. Secondo i dettagli dell’accordo raggiunto sotto la regia statunitense, Hezbollah dovrà spostare le armi pesanti a nord del fiume Litani, riducendo significativamente la minaccia militare nelle aree vicine al confine israeliano. L’esercito libanese assumerà il controllo delle aree a sud del Litani per un periodo di transizione di 60 giorni, durante il quale sarà responsabile della sicurezza e del monitoraggio della situazione sul campo. Le forze israeliane si ritireranno gradualmente dal sud del Libano, lasciando spazio al dispiegamento delle forze libanesi e a un rafforzamento del controllo statale nella regione. Su questo segmento specifico dell’accordo ci rientra anche il ruolo di Unifil, la missione di interposizione onusiana che nelle prossime settimane tornerà a guida italiana.

L’intero meccanismo operativo, se pienamente attuato, potrebbe rappresentare un importante progresso nella riduzione degli scontri (e delle tensioni internazionali di riflesso) e verso la costruzione di una stabilità duratura. Tuttavia, la sua implementazione dipenderà dalla cooperazione tra le parti e dal sostegno internazionale. Anche per questo gli Stati Uniti hanno assunto un ruolo di primo piano nel facilitare la tregua lungo il confine libanese, consapevoli che tale ruolo presenta sfide considerevoli per l’amministrazione Biden e e per l’entrante Donald Trump.

L’uscente Joe Biden considerava inammissibile restare ad attendere l’insediamento del suo successore, il 20 gennaio, e ha anzi espresso l’intenzione di estendere la tregua anche alla Striscia di Gaza, cercando di ampliare gli accordi di cessate il fuoco e affrontare la questione degli ostaggi. Si tratta di un’iniziativa che richiede un impegno diplomatico significativo e mette gli Stati Uniti sotto il rischio dell’insuccesso diplomatico incassato in tutti questi mesi. Tuttavia, Biden non rinuncia al rischio (incassando i risultati dell’accordo), ma riafferma gli Usa su un ruolo di leadership negli affari internazionali.

In questo contesto, il comportamento americano diventa anche un messaggio strategico, sia nel rassicurare gli alleati sul ruolo della super-potenza, sia mirato a essere una dimostrazione di “potenza responsabile”, appunto, e messo in contrasto con l’atteggiamento più opportunistico della Cina. Pechino ha espresso auspici positivi riguardo alla situazione in Libano, però ha evitato di impegnarsi attivamente nei processi di mediazione, distinguendosi così dall’approccio proattivo degli Stati Uniti — e dei Paesi del G7, che hanno partecipato alla mediazione, in particolare Francia e Italia. Questa posizione cinese riflette una linea raccontata secondo il “principio della non interferenza” (e infatti Pechino accusa il G7 di interferenze riferendosi alle posizioni severe prese, anche nei confronti della Cina, nel recente statement dopo la riunione ministeriale). Nei fatti la posizione voluta dal Partito/Stato serve a proteggere l’esposizione della Cina ai rischi associati a negoziati complessi e potenzialmente fallimentari.

In sintesi, gli Stati Uniti si sono assunti il peso (e il rischio) politico e diplomatico di guidare i negoziati per la stabilizzazione del Medio Oriente, la Cina si è limitata a osservare, aspettando l’opportunità per esprime la narrazione anti-occidentale. Tuttavia il futuro resta incerto. Come quando due anni, l’attuale mediatore — il super inviato Amos Hochstein — raggiunse un accordo sul confine marittimo tra Israele e Libano, che aveva fatto sperare a un’ampia stabilizzazione, e invece è scoppiata la guerra torno allo stato ebraico.

Adesso, con l’imminente ritorno di Trump alla Casa Bianca, la domanda cruciale però non è tanto se la tregua reggerà, ma piuttosto quale direzione prenderanno certi sforzi: saranno consolidati o subiranno un cambiamento strategico, ridefinendo il ruolo americano nella regione e anche a livello internazionale? È possibile che la direttrice strategica resti immutata, che si osservi una contrazione del ruolo proattivo americano, che l’amministrazione Trump riduca le pressioni su Israele (necessarie per la mediazione raggiunta).

(Foto: Profile-pic di Amos Hochstein su X)

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