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“Le caratterizzazioni delle conversazioni tra la Casa Bianca e il Feldmaresciallo Haftar sono imprecise. Abbiamo incoraggiato Bloomberg a non diffondere cattive informazioni”. Con un tweet il portavoce del Consiglio di Sicurezza nazionale statunitense, Garret Marquis, condivide un articolo per richiamare la Bloomberg. Nel pezzo si raccontava un retroscena a proposito di quella telefonata che dalla scorsa settimana ha messo diverse cancellerie in apprensione.

Secondo quanto scritto dal media newyorkese, il presidente Donald Trump avrebbe indicato in una telefonata con il signore della guerra dell’Est libico — la chiamata è del 15 aprile, ma è stata comunicata solo venerdì (e solo ai giornalisti che accompagnavano il presidente Trump  nelle vacanze pasquali) — che gli Stati Uniti sostengono l’assalto a Tripoli per deporre il governo appoggiato dalle Nazioni Unite, e guidato da Fayez Serraj.

La Bloomberg dice che a dare informazioni sul contenuto della chiamata sono stati funzionari americani che hanno familiarità con la questione.

Gli stessi dicono che una precedente telefonata — del 4 aprile, giorno in cui Haftar ha lanciato l’offensiva — del consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca,  John Bolton, ha lasciato  Haftar con l’impressione di aver ricevuto un semaforo verde americano per l‘aggressione a Tripoli da parte delle sue forze.

Marquis smentisce questi contenuti, li definisce “cattive informazioni”, e conferma uno scetticismo segnato da fonti libiche vicine al governo onusiano a proposito di una lettura troppo avventata di quel contatto. Sostanzialmente gli Stati Uniti mantengono un profilo piuttosto distaccato dal dossier libico, concentrati maggiormente su altre questioni, come Venezuela, Cina, Iran, Russia. Ma la posizione resta aderente al perimetro tracciato dalla Nazioni Unite, e inquadrata all’interno di un’attenzione generale nei riguardi del Mediterraneo che sta crescendo.

La smentita del Consiglio di Sicurezza nazionale è una sottolineatura importantissima. Washington ha sostenuto da sempre il piano di pace dell’Onu, che Haftar ha messo sotto assedio da venti giorni (senza risultati sul campo, producendo dozzine di vittime civili, e rischiando il riacutizzarsi di fenomeni come terrorismo e immigrazione).

Nei giorni appena successivi all’avvio della campagna haftariana, il dipartimento di Stato aveva diffuso una dichiarazione per chiedere il ritorno allo “status quo ante”, ossia alle postazioni precedenti l’attacco, condannando apertamente l’azione di Haftar.

Anche per questo l’idea dello shift verso l’autoproclamato Feldmaresciallo era sembrata un cambio di campo troppo spinto e avventato. In questi giorni, il senatore Lindsey Graham, consigliere informale del presidente Trump per la politica estera, aveva già provato a normalizzare la posizione della Casa Bianca con i giornali, spiegando che Washington riconosceva un ruolo a Haftar nel campo dell’anti-terrorismo, ma riteneva impossibile per chiunque diventare un “leader legittimato attraverso l’uso della forza”.

 

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