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Mentre a Tripoli si ricominciano a contare le vittime degli scontri (con una stima che per ora si ferma a 13 morti e 52 feriti, tra cui donne e bambini), la sfiducia dei tre vice di Fayez al Serraj nei confronti del presidente del governo riconosciuto a livello internazionale (la cui causa resta riconducibile alla gestione “personalistica” che questi starebbe attuando all’interno del Paese), aggrava ancor più la situazione. Fonti vicine al Consiglio presidenziale riferiscono a Formiche.net che il casus belli che ha mosso quest’ultima escalation di tensione sarebbe da ricondurre alla decisione del ministro dell’Interno di Misurata, Fathi Bashagha, di assegnare il controllo dell’aeroporto internazionale alla Settima Brigata. Questo, in sostanza, non sarebbe piaciuto alle altre milizie, in particolare a quella più vicino al presidente Serraj che, di fatto, avrebbe poi scatenato lo scontro.

I primi scricchiolii interni al governo di Tripoli sarebbero scattati su un problema di nomine. Le scelte di Serraj, prese senza consultare gli altri e andando, in questo modo, fuori dagli accordi, avrebbero dunque inevitabilmente alimentato le tensioni crescenti all’interno dell’establishment.

E così, mentre altro sangue si aggiunge all’estrema instabilità che caratterizza il territorio, il ministero della Sanità è stato costretto nuovamente a chiedere a tutte le parti di non violare il diritto internazionale umano e di non attaccare le ambulanze e i loro autisti, precisando come l’attacco ai mezzi di soccorso abbia impedito il salvataggio dei cittadini in aree di scontri.

Ma, alla luce anche di questi ultimi risvolti viene da chiedersi cosa potrebbe accadere nel prossimo futuro. Il governo di Tripoli, che pure vive un momento di fragilità , aggravato ancor di più proprio dalla sfiducia dei tre vice, che prospettive potrebbe avere? In questo momento, non essendoci alcuna alternativa, è molto probabile che questo governo regga fino alle elezioni, ci spiegano le fonti da Tripoli. Anche perché sarebbe proprio questo il gioco di Serraj, che, consapevole  di essere l’unica carta spendibile in questo momento, se ne fa forte. Salamè (inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia), d’altra parte, sta cercando di riportare un po’ di pace all’interno del Consiglio, ma anche in questo caso non è detto che funzioni. La road map, infatti, sta ritardando, l’organizzazione dell’assemblea nazionale che si dovrebbe tenere a fine febbraio è ancora in alto mare e sarà dunque difficile giungere alle elezioni nei tempi previsti.

Roma, comunque, continua la propria strategia di mediazione, anche se sembra non aver ancora compreso a pieno la sostanza della situazione, continuando a mettere uno di fronte all’altro Serraj e Haftar, non capendo, invece, che quest’ultimo non vuole parlare con Serraj perché non lo ritiene un interlocutore. Le fonti ascoltate sulla questione sottolineano proprio, a tal proposito, come Serraj rimanga un ostaggio delle milizie di Tripoli, mentre Haftar starebbe tentando di fare un accordo (e sarebbero in corso dei colloqui sotterranei a riguardo) con la parte più moderata di Misurata a cui fa riferimento Ahmed Maitig.

Se l’errore iniziale, dunque, sarebbe riconducibile al non aver preso in considerazione l’importanza primaria di Misurata o Tarhuna, necessario ora è riportare al tavolo delle trattative le forze più importanti e farle dialogare. Questa è la questione principale per poter arrivare a una qualche soluzione della crisi: colloqui come quelli che sta tenendo l’Egitto, che ha avviato ormai da un anno degli incontri per l’unificazione militare, nei quali si cerca la quadra sia attraverso i militari di Misurata, sia attraverso quelli di Haftar.

Senza dimenticare il terrorismo, la cui sconfitta resta elemento focale per il coinvolgimento degli Usa che, proprio nei giorni scorsi hanno evidenziato la loro preoccupazione per una recrudescenza dell’Isis nel Paese, che pure sembrava sconfitto. Oltre, poi, all’irritazione che gli stessi Stati Uniti hanno mostrato nei riguardi di Serraj che, anche a loro avviso dovrebbe coinvolgere le altre componenti all’interno della Libia. Per non parlare del fatto che, come sottolineano le stesse fonti vicine al Consiglio presidenziale, non prendere in considerazione Misurata come interlocutore principale è sbagliato perché quest’ultimo è  proprio quello che più di tutti ha combattuto l’Isis. Sempre secondo le nostre fonti, infatti, proprio a questo proposito qualche giorno fa le autorità militari di Misurata avrebbero incontrato Stephanie Williams, vice di Ghassan Salamè, per far presente le loro rimostranze sull’impossibilità di Maitig di lavorare all’interno del territorio in queste condizioni, aggiungendo anche che, qualora la situazione continuasse su questa scia di “individualismo presidenziale”, potrebbero togliere il loro appoggio allo stesso Consiglio.

Intanto Salamè, parlando al Consiglio di Sicurezza, ha fatto presente che i civili libici “continuano a vivere nel timore di un conflitto violento e che la situazione è particolarmente preoccupante a Tripoli, dove la tregua raggiunta a settembre è stata nuovamente violata”. Anche se, ha aggiunto l’inviato Onu, “per ora, le violazioni sono state contenute grazie ai nostri sforzi”.

Libia

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