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La polemica che vede su fronti contrapposti il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, e alcuni sindaci di grandi città è di facile lettura e si inserisce in un contesto politico più ampio. La sortita di Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, che non intende applicare una norma del decreto sicurezza e immigrazione è un’arma inefficace: tutti sanno, a cominciare da Orlando e dai suoi colleghi di Napoli, Firenze, Milano e Parma (finora), che una legge dello Stato va applicata anche se non piace e che l’unica voce titolata sarà quella della Corte Costituzionale se e quando sarà coinvolta.

Orlando non accetta la norma che impedisce l’iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo durante l’iter delle commissioni prefettizie che dovranno stabilire se il soggetto ha o meno diritto alla protezione. La mancata iscrizione impedisce agli eventuali figli di andare a scuola e l’inserimento in altre graduatorie, com’era invece possibile prima della legge voluta da Salvini. Se sia una norma giusta o meno non può deciderlo un sindaco che, com’è stato immediatamente osservato, non si accorge di criticare indirettamente un giurista come il Presidente della Repubblica: dopo aver costretto il governo a modificare alcune parti di quel testo, Sergio Mattarella ha promulgato la legge considerando evidentemente corretta la norma contestata. In ogni caso, un sindaco o un cittadino possono rivolgersi al giudice ordinario e avviare l’iter che può portare al Palazzo della Consulta.

Nell’ennesima diretta Facebook cominciata subito dopo l’annuncio di Orlando, Salvini ha lanciato una provocazione: i sindaci che non accettano il decreto sicurezza rinuncino anche a soldi e mezzi previsti in loro favore. L’esempio dei 100 vigili urbani destinati al comune di Napoli è calzante. È chiaro che Salvini non può, a sua volta, gestire a piacimento quanto è ormai fissato per legge, ma l’uso travolgente del web non è indirizzato ai suoi nemici, bensì ai suoi elettori, a molti dei quali sfuggono i sofismi legali e colgono invece il messaggio sottinteso: a chi vuole aiutare gli immigrati noi togliamo i soldi. Non è vero né possibile, di sicuro però aumenta la frattura sociale e politica.

Siamo solo al 3 gennaio e la campagna elettorale è in pieno svolgimento. Salvini il 4 e 5 gennaio sarà in Abruzzo, dove si voterà il 10 febbraio, quindi andrà in altre regioni. Se si ascoltano attentamente i discorsi, le dirette Facebook, ogni dichiarazione, da diversi giorni il leader della Lega non cita più la coalizione di governo, non parla degli alleati del Movimento 5 Stelle né del contratto di governo che secondo il presidente Giuseppe Conte andrebbe sottoposto a un tagliando. Salvini parla ai suoi delle modifiche alla legge Fornero, dell’intenzione di ampliare la base che dovrebbe beneficiare della flat tax dopo le partite Iva e di immigrazione. Nel parlare a braccio ogni giorno inevitabilmente ripete le stesse cose arrivando perfino ad ammettere di non avere “ricette miracolistiche” in accordo con Mattarella.

Sarà un sistema di comunicazione efficace anche nei prossimi mesi? È prematuro dirlo perché la legge di Bilancio varata non permette più di dare la colpa ai governi precedenti, perché i numeri della maggioranza al Senato sono ridotti al lumicino, perché la parte più fragile del governo è nel Movimento 5 Stelle dovendo dimostrare che il reddito di cittadinanza non è una fantasia e neanche una pioggia di soldi a perdere, perché il nord è nervoso e agli imprenditori non interessano le dirette Facebook. Dall’altro lato, se l’opposizione non trova di meglio che non applicare una legge dello Stato, l’esecutivo può dormire sonni più tranquilli.

In attesa del prossimo segretario del Pd, la cosa più difficile è invertire la rotta sul fronte immigrazione e sicurezza pur sapendo che un elettore frastornato potrebbe preferire l’originale (Salvini) alla copia oppure astenersi. Marco Minniti parlò di “rottura sentimentale” alla base della sconfitta del 4 marzo. Per ricomporla occorreranno anni, ma una democrazia forte non può ripartire da un sindaco che non applica una legge. Quello è un reato.

Tra Salvini e i sindaci il vero scontro è su temi elettorali

La polemica che vede su fronti contrapposti il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, e alcuni sindaci di grandi città è di facile lettura e si inserisce in un contesto politico più ampio. La sortita di Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, che non intende applicare una norma del decreto sicurezza e immigrazione è un’arma inefficace: tutti sanno, a cominciare da Orlando e…

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