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Se pensavate che il 2019 sarebbe stato l’anno clue per una crisi geopolitica di portata globale avevate sbagliato i calcoli, di poco. A dirlo è l’ultima edizione del rapporto “Top Risks” di Eurasia Group, la società di consulenza fondata dall’analista americano Ian Bremmer che sussurra (dietro lauti compensi) a capi di Stato, giganti della finanza e multinazionali. “A dispetto dei titoli di apertura sempre più preoccupanti, il 2019 ha i presupposti per essere un anno ragionevolmente positivo” recita in apertura il report fresco di pubblicazione. Nessuna illusione: guerre, carestie, colpi di Stato continueranno ad affliggere il mondo con cinica perseveranza. Ma, dicono gli analisti di Eurasia, anche se la tensione fra grandi potenze, Cina, Russia e Stati Uniti in testa, è alle stelle e forse anche senza precedenti nel periodo trascorso dalla fine della Seconda guerra mondiale, non è questo l’anno che accenderà la miccia. Tutto tace, dunque? Niente affatto. Il campo delle relazioni internazionali non è stato mai così minato, e il 2019 porrà “i semi” di un potenziale conflitto globale, boots on the ground, per procura, cibernetico o commerciale, chi vivrà vedrà. La miccia è lì, basta un nulla per scoccare la scintilla fatale. “Un attacco cyber russo finisce fuori controllo. Iran e Arabia Saudita (o Israele) innescano una guerra in Medio Oriente. Cinesi e americani danno inizio a una guerra commerciale che causa una profonda recessione, si danno la colpa a vicenda, e la vendetta passa allo spazio cinetico. Ci sono altri rischi di simile portata. Per ora, questi rimangono eventi poco probabili”. Cosa aspettarsi, allora, da quest’anno di (relativa) calma prima della tempesta.

PESSIMI PRESUPPOSTI

Le organizzazioni internazionali sono sempre più delegittimate, e con loro assistono a un lento esautoramento quelle regionali e quasi tutti i consessi multilaterali. Dal Wto all’Ue passando per l’Onu, la Nato, l’Oas, il trend è globale. Gli Stati Uniti, prima potenza al mondo, stanno progressivamente rinunciando al loro ruolo di garante (o poliziotto) dell’ordine globale, seguendo la linea (talvolta gli impulsi) del presidente Donald Trump, che vorrebbe girare i tacchi dal Medio Oriente, la Nato, l’Europa. “L’amministrazione Trump vede le alleanze come corsetti che restringono l’abilità degli Stati Uniti di perseguire i loro interessi. Ne consegue che le alleanze si stanno erodendo e continueranno a farlo”. Questa politica estera tutta egocentrica, spiegano gli analisti, non è certo da addebitare solo alla Casa Bianca. Tutti “i grandi decisori al mondo sono così consumati dal fronteggiare (o fallire provandoci) le crisi quotidiane che emergono da un mondo senza leadership, da permettere di germinare a un ampio ventaglio di rischi futuri”. La conseguenza è che, di tutti i principali trend geopolitici seguiti dall’Eurasia Group, “più del 90% è avviato nella direzione sbagliata”.

CINA-USA, È GUERRA FREDDA 2.0 (ANCHE CYBER)

Nonostante Trump sia convinto di avere un “ottimo rapporto personale” con il presidente cinese Xi Jinping, quel signore sempre sorridente incontrato per la prima volta davanti una torta al cioccolato nella residenza di Mar-a-Lago ha abolito il limite dei mandati presidenziali e ha mostrato al mondo di voler portare la Cina ad essere la prima superpotenza globale. Un obiettivo che ha un solo, grande ostacolo: gli Stati Uniti. Dalla vicenda Huawei agli incidenti nel Mar Cinese Meridionale e alle minacce a Taiwan, senza dimenticare il furto di proprietà intellettuale, i dazi e la lotta nel cyber-spazio, sono troppi i fronti aperti fra Washington e Pechino per poter stare tranquilli. “Siamo preoccupati della più importante relazione bilaterale al mondo” spiegano gli analisti di Bremmer. “Non siamo fiduciosi che le discordanze economiche e commerciali trovino presto una soluzione”. “Qualcosa di più profondo e irreparabile si è rotto” fra cinesi e americani. Forse “la Cina non è ancora pronta a fronteggiare gli Stati Uniti, ma il crescente sentimento nazionalista fa pensare che i cinesi non ignoreranno a lungo le provocazioni americane”. Il cyber-spazio può divenire il campo di battaglia ideale, e infatti spicca al terzo posto dei rischi globali per il 2019. Non solo Usa, Cina e Russia. Meritano attenzione le campagne cyber di Iran e Corea del Nord, meno attrezzati ma non meno decisi a usare la cyberwarfare contro gli avversari. La Guerra Fredda 2.0 passa anche attraverso l’innovazione tecnologica, che occupa il sesto posto nella lista di Bremmer. “Nel corso del 2018 la competizione è divenuta sempre più politica. Quest’anno investitori e mercati pagheranno il prezzo. Siamo diretti verso un inverno dell’innovazione globale ­ – una riduzione politica del capitale finanziario e umano disponibile per guidare la nuova generazione di tecnologie emergenti”.

PROBLEMI IN CASA

Chi ha problemi in casa propria non ha tempo per occuparsi dei problemi degli altri. Non è un caso allora se nella top ten di Ian Bremmer, rispettivamente al quarto e al quinto posto, figurano “il populismo europeo” e “gli Stati Uniti in casa”. Con le elezioni europee di maggio il Parlamento europeo, e con esso le istituzioni che elegge, a partire dalla Commissione Ue, cambierà volto. Il cedimento dei partiti tradizionali a favore di un’avanzata dei sovranisti è previsto da gran parte dei sondaggisti, compreso Eurasia Group, che dà gli euroscettici addirittura al 37%. “Con i populisti al parlamento e al Consiglio sarà più difficile costruire consenso intorno a certe politiche, inclusi immigrazione, commercio, stato di diritto. I malumori interni diminuiranno l’abilità dell’Ue nel reagire velocemente alle crisi”. Anche a Capitol Hill i guai non mancano. L’impeachment di Trump “è difficile da immaginare”, ma la Camera in mano ai democratici azzopperà la capacità decisionale del presidente e può creargli più di un problema: “i democratici useranno il loro controllo delle commissioni e il potere di citare in giudizio per forzare la pubblicazione della sua dichiarazione dei redditi, indagare le sue affiliazioni finanziarie e quelle della sua famiglia, e scavare nei conflitti di interessi in diverse agenzie di governo”.

LA COALIZIONE DEI (NON) VOLENTEROSI. SALVINI COME KIM JONG-UN?

Il Washington Consensus è storia vecchia, sentenzia il report Eurasia Group. L’idea di una coalizione di potenze impegnate a presidiare l’ordine globale non è più appannaggio liberal né democratico. Oggi anche i sovranisti si sono fatti internazionali e sognano in grande. Il team di Bremmer stila un elenco di leader nazionalisti allineati con Trump. Ci sono Putin, Erdogan, Bin Salman, Netanyahu, Bolsonaro e, con una scelta davvero curiosa, Kim Jong-un e Matteo Salvini, uno a fianco all’altro. Cosa hanno in comune tutti questi strong-men? Poco, forse, ma il vecchio detto “l’unione fa la forza” vale anche per loro. “Chiamatela coalizione dei non volenterosi, perché non formeranno una vera alleanza, i nazionalisti non salutano una bandiera comune. Ma per l’impatto di Trump in politica estera, decisamente maggiore che sulla politica domestica, questo gruppo di compagni malcontenti può fare da force-multiplier”.

TRE PAESI DA SEGUIRE: MESSICO, UCRAINA, NIGERIA

Gli ultimi tre posti nella lista dei rischi per il 2019 sono occupati da tre Stati. All’ottava posizione Bremmer inserisce il Messico. Il 2018 è stato l’anno più violento di sempre per lo Stato centramericano. “Il nuovo presidente Andres Manuel Lopez Obrador inizia il suo mandato con un potere e un controllo sul sistema politico menomati, che non si vedevano dai primi anni 90”. Crimine quotidiano, traffico di droga, infrastrutture che cadono a pezzi, sono tante le sfide elettorali da trasformare in realtà, forse troppe. Per la prima volta, dice Bremmer, il rischio geopolitico del Messico “è simile a quello dei suoi vicini sudamericani”. L’Ucraina figura al nono posto. L’incidente nello stretto di Kerch con la Russia non sconfinerà in un conflitto armato aperto, per ora. Il disegno di Vladimir Putin non sbiadirà. “Nuovi incidenti sono probabili”. Le elezioni presidenziali ucraine la prossima primavera, spiega il team di Eurasia, saranno soggette a interferenze russe. “Il Cremlino vorrà indebolire i candidati che ritiene una minaccia e assicurarsi che gli avvocati degli interessi politici ed economici russi abbiano la loro occasione”. Chiude la lista la Nigeria, il gigante africano che si prepara a tornare alle urne per “l’elezione più ferocemente contestata sin dalla sua transizione alla democrazia nel 1999”. I sondaggi danno già vincitore l’incumbent, il presidente Muhammadu Buhari che però, vuoi per i franchi tiratori nel partito, vuoi per l’esile maggioranza, “sarà un’anatra zoppa dal giorno uno”. Un presidente delegittimato è l’ingrediente perfetto per la fuga degli investitori del più grande mercato finanziario africano.

(Foto: Eurasia Group)

Ecco i 10 rischi globali per il 2019. Report Eurasia Group

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