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Gli spritz, le feste in discoteca, la Milano da bere. Un turbinio di istantanee fotografiche affolla la memoria collettiva di Gianni De Michelis, l’ex numero due del Psi craxiano scomparso oggi all’età di 78 anni dopo una lunga malattia. De Michelis però era molto altro. Un ministro degli Esteri che ha lasciato il segno, ad esempio, trovandosi faccia a faccia con vicende che hanno marchiato un’epoca storica, dalla Prima guerra del Golfo alla polveriera dei Balcani fino alla firma del Trattato di Maastricht. “Sognava un’Italia protagonista – ci racconta con un sospiro di commozione Giovanni Castellaneta, già ambasciatore italiano in Iran, Australia e Stati Uniti, portavoce di De Michelis nei suoi anni alla Farnesina.

Tutti ricordano il De Michelis festante nei ruggenti anni ’80. Un’esagerazione o era davvero così?

Sulle discoteche ha scritto anche un libro (ride, ndr). Aveva una grande passione per la musica, ma non era fine a se stessa. Per lui era un altro modo di fare politica, diceva sempre che bisognava avvicinare la politica alla gente e la musica era fatta per i giovani. Una provocazione, ma anche un messaggio estremamente moderno.

E da ministro degli Esteri invece com’era?

Una delle persone più brillanti che abbia mai conosciuto. È stato un grande ministro degli Esteri, che permise all’Italia di giocare un ruolo da protagonista in Europa assieme al duo franco-tedesco. Grande amico degli Stati Uniti, il suo operato alla Farnesina seguì tre direttive: atlantismo, europeismo e una grande attenzione ai Balcani.

I critici posteri gli rimproverarono di non aver voluto vedere in tempo la guerra in Jugoslavia.

Non è vero che non l’aveva vista, riteneva che un nostro intervento avrebbe portato a un conflitto interno che sarebbe stato cruento e pericoloso per tutto il vicinato. Si dice spesso che i Balcani producono più storie di quante ne possano consumare. De Michelis voleva evitare un’escalation. Per questo aderì entusiasta alla “Quadrangolare” con Austria, Ungheria e Jugoslavia, poi sfociata nell’InCE (Iniziativa centro europea) e oggi affiancata dalla Iai (Iniziativa Adriatico-Ionica).

Eppure De Michelis è ricordato come un ministro molto assertivo di fronte alle crisi internazionali.

È vero. Fu lui, quando era al governo con Andreotti, a patrocinare l’intervento dei nostri tornado e di un nostro battaglione nella Prima guerra del Golfo, pur avendo quasi tutti gli altri partiti contro. Viaggiava moltissimo. Fu uno dei primi a scommettere sullo sviluppo economico della Cina quando ancora nessuno ci credeva. Anche in Europa è stato un trascinatore.

Si riferisce a Maastricht?

Esatto. Fu un convinto assertore dell’euro e di un’area economica comune, di un’Europa forte che poteva essere protagonista insieme agli Stati Uniti. Il suo era un europeismo riformista.

Ha mai avuto rimpianti per questa Ue?

Più di uno. De Michelis era convinto che la moneta unica sarebbe stato il primo passo verso una politica fiscale comune, le cose andarono diversamente. Anche negli ultimi tempi, quando già era malato, mi ha confidato la sua delusione nel veder questo disegno incompleto. E continuava a ripetermi che l’Italia doveva tornare protagonista nel suo vicinato, a cominciare dai Balcani.

Da come ce lo racconta sembra un ministro degli Esteri sui generis. Da tempo i titolari della Farnesina hanno perso questo protagonismo.

Non dimentichiamo che De Michelis era un ministro politicamente forte. Era il numero due del Partito socialista, è stato vicepresidente del Consiglio, aveva una personalità straripante. La Farnesina seguiva questa sua assertività sullo scenario internazionale. Lui voleva trasformarla in un Dipartimento di Stato sulla scia degli Usa, cercò di far approvare delle riforme che però finirono arenate in Parlamento.

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